«Chiudere significa la fine»: il grido di dolore del cinema
Gli esercenti di Lodi commentano il decreto che ha imposto la serrata
Buio in sala. Di nuovo, come la scorsa primavera. Il Dpcm in vigore fino al 24 novembre si abbatte ancora sul mondo della cultura, già uscito provatissimo dal primo lockdown. Eppure, dati alla mano, cinema e teatri si sono rivelati luoghi sicuri. Nelle due sale cinematografiche cittadine, il Moderno di corso Adda e il Fanfulla di viale Pavia, sono state osservate tutte le norme igieniche e di distanziamento, anche grazie all’ampiezza degli spazi. «Non ho capito il senso di questo nuovo Dpcm – sbotta Filippo Negri del Moderno -. Secondo me è stato fatto un po’ a casaccio. Tutto il nostro lavoro per riportare la gente al cinema dopo il confinamento della scorsa primavera è stato azzerato. Non comprendo perché alcune attività possono rimanere aperte e altre no, soprattutto alla luce dei dati sui contagi nei cinema, praticamente a quota zero. Noi abbiamo addirittura posti in eccesso, il distanziamento è assicurato. A questo punto speriamo di salvare almeno il Natale».
Il Dpcm si va ad aggiungere a una situazione già critica per i cinema che nell’ultimo mese hanno registrato perdite pari al 77% rispetto allo stesso periodo del 2019. «È vero, i dati sono brutti, ma non possiamo permetterci di stare chiusi un anno in attesa che tutto finisca. Restare aperti significa portare avanti il processo di fidelizzazione con il pubblico, dare un segnale che il cinema c’è. Anche perché ho il timore che le case di distribuzione possano optare per lo streaming, e sarebbe un altro colpo durissimo per gli esercenti. Probabilmente non è passato il messaggio che il cinema è un luogo sicuro: gli spettatori sono obbligati a tenere la mascherina, c’è distanziamento, si misura temperatura all’ingresso, non si parla».
Sulla stessa lunghezza d’onda Riccardo Laurelli del Cinema Fanfulla: «Ragionando da commerciante, forse sarebbe meglio chiudere: ho fatto i conti di settembre, non riesco a pagare nemmeno l’affitto. C’è però l’altro lato della medaglia: una chiusura prolungata sancirebbe la fine delle sale cinematografiche, perché non tornerebbe più nessuno. Cerco di essere ottimista: viviamo un periodo in cui i cittadini si stanno rintanando in loro stessi, ma prima o poi si stuferanno. Speriamo che questo nuovo semi-confinamento possa produrre nei prossimi mesi una nuova voglia di socialità». Laurelli entra poi nel merito del nuovo decreto: «Mi chiedo una cosa semplicissima: il governo cosa ha fatto quest’estate? Qualcuno che ha capito che nei cinema non si è contagiato nessuno? Perché non sono stati chiusi solo i luoghi che non rispettavano i protocolli di sicurezza? Al cinema c’è grande distanziamento, noi abbiamo una sala molto capiente e ultimamente per ogni proiezione non registravamo più di 40 persone. Sono altri, a mio parare, i luoghi in cui il rischio contagio è alto. Basterebbe avere un paio di vigili che girano per la città. Manca un tutore dell’ordine, ma manca tipo da quattro mesi. Vedo inoltre quasi una sorta di disprezzo nei confronti della cultura, considerata inutile: invece è il collante di una comunità».
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