CINEMA I gloriosi 100 anni (più 1?) del Moderno
La sala di corso Adda a Lodi ha tagliato l’importante traguardo del secolo di attività
Dal film muto ai “miracoli” della tecnologia. Cent’anni di sogni a occhi aperti, di visioni, di storie. Il cinema Moderno di Lodi festeggia il suo primo secolo di vita, un traguardo meraviglioso che arriva però in un momento di estrema difficoltà per le sale italiane, soprattutto per quelle che hanno sempre fatto della qualità e della fedeltà con il pubblico il loro “marchio di fabbrica”. «Continuare altri cent’anni? Sarà molto, molto dura, forse impossibile – racconta Filippo “Pippo” Negri, erede della dinastia che ha fondato la storica sala in corso Adda a Lodi -. Il cinema è in continua evoluzione: probabilmente riusciranno a sopravvivere solo le strutture all’avanguardia. Ma rimane comunque la speranza che possano resistere anche le sale d’essai per i veri cultori del cinema».
La storia del Moderno affonda le radici all’inizio degli anni Venti del secolo scorso. «Ho ritrovato un documento con la richiesta alla Prefettura di Lodi per l’agibilità del cinema. È scritto a macchina: la prima data risale al 21 novembre 1922, poi ci sono diversi rinnovi datati 1923». L’idea di aprire un nuovo cinema a Lodi venne al nonno di Filippo, dal quale l’attuale titolare ha ereditato il nome. «Era l’ultimo di 20 fratelli. Viveva con la famiglia alle Tre Cascine. Inizialmente gestì diverse salumerie in città, un’attività che rendeva bene: riuscì addirittura a comprarsi l’automobile. Poi, a un certo punto, ha voluto investire nel cinema, un fenomeno che stava sbocciando in tutto il mondo. Partì proiettando film muti, accompagnati spesso da un’orchestra o da un singolo musicista. Sto cercando documenti per avere una visione più chiara di quel periodo».
La sede del cinema è sempre rimasta in corso Adda?
«Sì, ma all’inizio la struttura era completamente diversa rispetto a quella attuale. La sala si trovava in un corridoio lungo e stretto al termine del quale sorgeva la cabina, appiccicata al muro in un gabbiotto di metallo: la sicurezza era di fatto inesistente. Non di rado la pellicola si infiammava. Nel 1950 fu costruita la sala grande con la galleria, mentre nel 1986 lo stabile subì un restauro completo. L’ultimo intervento risale al 1996 con la costruzione della seconda sala e degli impianti automatizzati. Circa quindici anni fa, infine, sono stati effettuati alcuni ammodernamenti, con l’introduzione dell’aria condizionata e dei proiettori digitali».
Chi ha preso poi il timone del cinema?
«Mio nonno rimase in pista fino agli ultimi anni della sua vita, poi negli anni Sessanta gli subentrò mio papà, Agostino. Aveva aperto uno studio dentistico, ma, causa morte del suo socio, decise anche lui di buttarsi nel cinema. Negli anni ’80 sono entrato anche io nell’azienda: la storia del cinema Moderno è anche la storia di una famiglia».
Tra gli anni Ottanta e Novanta il Moderno ha ospitato anche il Cineclub Tempi Moderni.
«Un nome che richiamava uno dei geni del cinema, Charlie Chaplin. Fondai il Cineclub insieme a Lucio D’Auria e Fabio Francione, poi il gruppo si è allargato. Abbiamo organizzato diverse rassegne, ricordo che a Lodi arrivarono diversi personaggi per parlare dei loro film: Gillo Pontecorvo, Carlo Verdone, Luciano Ligabue, Federico Zampaglione… Nel dicembre del 1995 per il centenario della nascita del cinematografo dei Lumiere proiettammo “L’uomo con la macchina da presa” di Vertov musicato da Tiziano Tononi che accompagnò la proiezione in sala al teatro alle Vigne».
Grazie al Moderno è iniziata anche la grande stagione del cinema estivo all’aperto…
«La prima edizione fu organizzata dal Comune, noi abbiamo dato supporto per la programmazione. Poi abbiamo lanciato la proposta di replicarlo ogni estate nel cortile delle Vigne: negli anni d’oro arrivavamo anche a contare tra i 300 e i 400 spettatori a serata, a volte era necessario allestire due spettacoli per accontentare tutte le richieste».
Il vostro cinema ha ospitato anche alcuni concerti…
«Nel 1974 suonarono Antonello Venditti e Francesco De Gregori, all’epoca quasi sconosciuti. Ricordo poi anche un’esibizione di Giorgio Gaber. Nel 1986, l’anno del grande restauro, eravamo indecisi se dare vita a un cinema-teatro oppure concentrarci esclusivamente sul cinema. Scegliemmo la seconda strada, anche perché, in città, c’erano già diversi spazi per suonare».
C’è stato qualche “caso” eclatante a livello di programmazione? Film censurati o che hanno fatto scalpore?
«Tra i “filmoni” di grande successo ricordo sicuramente “Ben-Hur” e, in tempi più recenti, “Balla coi lupi”, una pellicola che rimase in programmazione per 5-6 settimane di fila. C’è poi un episodio curioso che risale agli anni ’70, periodo in cui era sbocciata la commedia sexy all’italiana. Il manifesto del film in cartellone, del quale non ricordo il titolo, mostrava un’attrice scosciata: al botteghino si presentarono due carabinieri, chiamarono mio padre e lo condussero nella vicina caserma con l’accusa di esposizione di materiale pornografico. Il procuratore di allora, Novello, era molto rigido in materia. La questione si risolse in una decina di ore, anche se papà fu poi costretto a subire un processo a Roma, dal quale venne assolto. Il film, naturalmente, venne tolto dalla programmazione: non solo a Lodi, ma in tutto il territorio nazionale».
Come se la passa il cinema oggi?
«Non bene. C’è stato un minimo di rilancio dopo il periodo durissimo della pandemia, ma i numeri fanno ancora un po’ paura. Sotto Natale rimane la tradizione di andare al cinema, nei mesi precedenti invece c’era da mettersi le mani nei capelli. Il grosso nodo rimane il discorso delle uscite dei film al cinema e in tv. Con il lockdown le piattaforme di streaming hanno assunto sempre maggiore potere, poi però non si è tornati indietro. In Francia, invece, sono stati reintrodotti i 180 giorni tra il passaggio al cinema e quello in tv».
Organizzerete qualcosa per celebrare il centenario?
«Ci stiamo ancora pensando. Niente di sfarzoso, comunque: ci piacerebbe organizzare delle proiezioni storiche, magari invitando registi. Il futuro? Non ho eredi, quindi sarà molto difficile proseguire. Ho avuto la fortuna di fare questo lavoro per molti anni, mi ha permesso di conoscere tante persone e di vedere tanti film. Ma è diventato sempre più impegnativo dal punto di vista della programmazione: le case di distribuzione sono sempre più pressanti, vogliono imporre giorni, orari… In ogni caso, finché riusciremo a tirare avanti, resteremo qui, al nostro posto».
© RIPRODUZIONE RISERVATA