In Italia, il Premio Abbiati sta alla musica come l’Oscar sta al cinema: ago di una bilancia temuta e sognata, esso è la sintesi ultima di un’annata di produzioni musicali, sismografo fedele e insindacabile di consacrazioni e rivelazioni delle sale da concerto nazionali. Nelle scorse settimane, nella sede degli Amici della Scala a Milano, la commissione di questa 35esima edizione del Premio intitolato alla memoria dello storico critico musicale del Corriere – tra i componenti Angelo Foletto, Carla Moreni, Gian Paolo Minardi e Paolo Petazzi – ha decretato vincitore della categoria “Novità per l’Italia”, insieme all’opera Il suono giallo del milanese Alessandro Solbiati, Aureliano Cattaneo con il dittico Parole di settembre e Insieme. Lodigiano di Casalpusterlengo, da anni ormai attivo nell’ambiente artistico madrileño dopo austeri studi di composizione con Carlo Landini e Sonia Bo, Cattaneo non può essere riduttivamente raccontato come semplice cervello in fuga. La sua creatività, come dimostrano le commissioni eccellenti collezionate nel corso di ormai oltre dieci anni di attività, fa piuttosto di lui un vero cosmopolita della musica, un eterno viandante costantemente in ascolto a captare suggestioni e provocazioni da tradurre in mondi sonori.
Alla scorsa Biennale di Venezia, la sua Parole di settembre , presentata con un clamoroso successo al Konzerthaus di Vienna, ha rivelato una volta di più la caratura di questo talento onnivoro e indagatore: un omaggio alla figura di Andrea Mantegna, cucita addosso al profilo che Edoardo Sangiuneti aveva disegnato in una sequenza di affilate liriche in occasione dei 500 anni dalla morte, ormai un decennio fa. Cattaneo ne ha distillato con sorvegliata sapienza un ciclo vocale steso come un affresco di raffinata articolazione, ritmato su autentiche colate di colore sonoro su installazioni video. Quasi un travaso sinestetico dalla stupefazione degli occhi a quella dell’udire e dell’intendere, filtro dopo filtro, di cui la parola è danzante medium tra immagine e suono.
Nell’installazione, che gravita attorno al filo rosso della prospettiva, topos mantegnesco prima ancor che umanistico, un grande quadrato bianco fa da luogo su cui vengono proiettati materiali che dialogano con il testo musicale. L’illusione di un cubo verso l’infinito, sul quale turbinano immagini che si intrecciano e pongono in serrato dialogo la parola e alla musica. Tre libri, connotati da specifiche individualità costruttive ed emotive, nel cui gioco erratico verso le polarità del chiaro e dello scuro, si stagliano due madrigali, posti agli estremi del filo, e una frottola al centro. Il recupero di un mondo antico, quello delle forme distintive di Mantegna e del suo tempo, pare vigilare, severo, sul magma che la scrittura di Cattaneo sprigiona; un magma mai istintivo, mai affidato alla pura epidermica seduzione, ma innervato nel senso di un costrutto complesso, verticale, dove nessuna nota è in più. Ascoltare per credere. L’archivio infinito di youtube custodisce la memoria della prima viennese dell’opera. E, in quel tempio avaro di gratuite effusioni, il torrenziale scoppio degli applausi conclusivi, difficili da spegnere, saranno suonati a Cattaneo come credenziale, purissima, di questo e di chissà quali altri riconoscimenti futuri.
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