Alla fine contano le facce, ancora più dei numeri. Anche se il numero è importante: 155, ovvero quanti erano a bordo del volo 1549 ammarato nel fiume Hudson in una gelida mattina di gennaio del 2009 e furono salvati dal disastro. Ma le facce, il fattore umano, quello conta prima di ogni altra cosa. Lo ha insegnato a tutti il pilota Chesley Sullenberger, detto “Sully”, che di quell’aereo era il comandante. Un “eroe per caso” che, se non ci fossero le cronache dei media a testimoniarlo, si direbbe uscito dalla penna di uno sceneggiatore e scritto apposta per entrare nella galleria dei personaggi di Clint Eastwood regista, arrivato al suo 39esimo film.
Un “uomo verticale” Sully, proprio come Clint, un americano che si trova nel posto giusto al momento giusto per cambiare la Storia, per modificare il corso del destino che sembrava segnato, per i passeggeri di quel volo e per un Paese con ancora negli occhi il rogo delle Torri Gemelle. Sully, il film, racconta tutto questo e molto altro ancora, racconta del peso della responsabilità e delle scelte difficili, racconta soprattutto dell’America che si sveglia all’alba di un nuovo anno, con i crac finanziari e con la truffa di Madoff da metabolizzare, ma con un eroe da poter finalmente abbracciare.
Eastwood riallaccia i fili della memoria e andando a ritroso racconta una vicenda, ormai arcinota, mantenendo alto il livello della tensione e basso quello della retorica. Parte proprio dalla mattina del 15 gennaio e dalla cabina di pilotaggio (incredibilmente realistiche queste immagini) per ricostruire i fatti ma presto devia per approfondire ciò che realmente gli interessa: non la cronaca che pure è restituita in maniera spettacolare, ma la normalità dell’eroe, quasi la sua banalità. Anche se non c’è nulla di minimamente banale in quello fatto da Sully. Il film celebra con tono perentorio, questo sì, il lavoro di squadra, la nazione che funziona e che si riscatta, non quella dei dissesti finanziari ma quella che mettendosi insieme ce la fa. È questa che, insieme a Sully, plana senza schiantarsi sulle acque dell’Hudson e da lì può finalmente riemergere. Ed è questa che poi, insieme ai due piloti, si siede davanti alla commissione d’inchiesta per venir giudicata. Eastwood guarda con orgoglio il successo di quanti hanno operato in squadra in così poco tempo quella mattina e per tutti loro vale l’omaggio reso al comandante di uno dei battelli che intervennero sul fiume che nel film interpreta se stesso.
Clint regista, con il consueto stile asciutto, senza una virgola di troppo o un’inquadratura fuori posto, senza cedere minimamente alla falsa emozione realizza un nuovo film sull’America mentre si interroga su “come ci si sente ad essere un eroe senza volerlo” e come si vive con il dubbio di aver fatto bene o male il proprio dovere.
In tutto ciò è aiutato da Tom Hanks che sembra mimetizzarsi dietro il volto del vero Sully. Inutile sprecare troppe parole per lui e difficile anche trovarne altre di migliori. Basta dire che è perfetto. Per quanto riguarda invece la risposta ai dubbi che animano anche la commissione d’inchiesta istituita per indagare sul caso è sufficiente aspettare i titoli di coda per sentire, restando in poltrona, la voce del vero comandante Sullenberger. Che in poche parole restituisce il suo punto di vista e quello di Eastwood, sul senso di un lavoro fatto bene.
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