DIETRO LE PAROLE Altro che “non ho sbatti”: quanti significati ha “battere”

La rubrica di Stefano Corsi

A volte, non ci si pensa, ma esistono parole dalla versatilità incredibile. Perché, in fondo, la lingua fa saggiamente economia, e sfrutta il materiale a disposizione meglio che le riesca.
Si prenda il verbo “battere”, che viene dal latino battuĕre (attestato anche come battĕre già in Frontone, autore del secondo secolo d.C.). Dietro la forma latina, che significava, ovviamente, “battere”, “colpire”, non si conosce antecedente. Interessante è tuttavia ciò che al verbo “battere” è poi accaduto in italiano, dove ha subito voluto dire “percuotere” con vari mezzi e per vari fini, ma poi ha trovato numerosissimi usi. Già nel Bembo, per esempio, significa “vincere” (e ancor oggi possiamo dire che la Ternana ha “battuto” il Perugia). Ottocentesco, del Giusti, arguto poeta di cui è stato argutamente detto che può essere visto come il maggiore dei minori o il minore dei maggiori, è l’uso riflessivo “battersi”, per “combattere”, “duellare”. “Battere alla porta” è “bussare”, “battere a macchina” è “dattilografare”, “battere cassa” è cercare denaro. “Batte i denti” chi ha freddo, ma “batte i piedi” il bambino bizzoso, “batte e ribatte” il capo un ostinato, “batte bandiera” un natante, “batte il ferro finché è caldo” chi sa approfittare di una circostanza favorevole, “batte il tempo” il musicista, “batte in ritirata” un esercito, “batte in testa” il motore a scoppio che fatica, “batte la fiacca” il pigro, “batte moneta” la zecca, “batte sullo stesso tasto” l’insistente, “batte un colpo” chi vuol dar segno di sé, si “batte il petto” il pentito, “non batte un ciglio” l’imperturbabile. Il participio presente maschile “battente” è un’imposta d’uscio o di finestra, il participio passato femminile “battuta” è una prelibatezza gastronomica ma anche un’arguzia, una facezia. Plurimi i composti verbo+oggetto: il “battibaleno” è un attimo, il “battibecco” un alterco, il “batticarne” uno strumento da cucina, il “batticuore” il segno di una grande emozione, e il “battistrada” è chi apre la strada a un corteo o a un gruppo di ciclisti o comunque a degli atleti in gara. Con il prefisso intensivo -s, ecco infine il verbo “sbattere”, di cui andrà almeno citato il riflessivo “sbattersi”, tanto caro al gergo giovanile nel senso di “far fatica”, con il suo sostantivo “sbattimento”. Curiosa evoluzione semantica quella per cui la dicitura “non ho sbatti”, in bocca ai ragazzi, significa “non ho voglia”, con rotazione metonimica per cui si cita l’effetto per la causa che lo dovrebbe produrre.

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