Due lettere e un arcobaleno per combattere la dittatura. Nel 1988, in Cile, Augusto Pinochet per ottenere la legittimazione internazionale dopo più di vent’anni di dittatura, fu costretto a indire un referendum popolare per confermare il proprio incarico di Presidente (conquistato dopo il colpo di stato contro il governo democratico di Salvador Allende). In palio gli 8 anni a venire, nelle mani del voto dei cileni che per la prima volta avrebbero avuto anche la possibilità di ascoltare la voce dei partiti di opposizione, a cui veniva concesso uno spazio televisivo di campagna elettorale di 15 minuti al giorno per un mese.
«15 minuti di tempo, nel cuore della notte, persi tra una montagna di parole e di messaggi opposti. Noi avremo quei 15 minuti e tutto il resto del tempo» fu la logica semplice e lapalissiana che guidò le scelte della forza al potere, mentre l’opposizione tra mille divisioni e tormenti decise di affidarsi a un giovane pubblicitario, René Saavedra, che ribaltò il tavolo e il risultato finale. NO, i giorni dell’arcobaleno diretto da Pablo Larrain racconta quei 27 giorni che cambiarono la storia del Cile e dell’America Latina, e di come il dittatore e il regime dei suoi generali furono battuti da una campagna pubblicitaria piena di musica e colori e di immagini che, più che a una campagna politica, sembravano destinate alla pubblicità di una bibita.
È un film importante e attualissimo quello di Larrain, importante per come utilizza i documenti dell’epoca, i filmati televisivi, stralci giornalistici di un periodo relativamente vicino che però sembra essersi perso rapidamente nella memoria dei paesi occidentali. Eppure la «rivoluzione» portata a termine dal popolo cileno in maniera democratica, attraverso il referendum, ha del portentoso. Quindici anni di una dittatura violenta sconfitti da un voto. E da una campagna in cui nessuno pareva credere all’inizio. «Oggi il Cile pensa al suo futuro» e non bisogna fare errori interpretando male i desideri della popolazione. Anche quando pare assurdo che per sconfiggere il presidente dittatore bisogna utilizzare un linguaggio differente: musica, ribellione e amore, a costo di “dimenticare” le sofferenze subite.
Il pubblicitario René Saavedra chiarì subito quale sarebbe stata la sua campagna e lottò non poco per superare lo scetticismo: lui voleva sfuggire alla logica di separazione tra «il dittatore e i comunisti», considerava vecchio il linguaggio, inutile la contrapposizione. Fu appoggiato dai democristiani ma osteggiato dai comunisti che non capivano il suo linguaggio e lo ritenevano assolutorio verso i crimini del regime. Non accettarono mai la sua richiesta di qualcosa di «più leggero e più simpatico»: eppure la logica di René Saavedra era semplice al limite del banale e metteva a nudo le contraddizioni di una politica che si arrovellava e finiva per annodarsi su se stessa. La sua vera forza stava nella protervia e nell’ignoranza degli avversari, della dittatura che considerava un arcobaleno «un simbolo per comunisti e omosessuali». E non metteva nemmeno in conto di doversi confrontare, ignorando quei segnali che arrivavano dalla strada che René invece sentiva. «Morti, torture, persone scomparse: il dolore fa paura, la popolazione ne è già bombardata»: ad alcuni sembrò una rinuncia a dire la verità. Ma alla fine la campagna basata sull’allegria e sulla speranza vinse. Incredibilmente. E il Cile mise da parte Pinochet.
È un film raro e di grande forza emotiva NO, un’opera che appare anche straordinariamente attuale nell’Italia di oggi, a migliaia di chilometri e 25 anni di distanza. Pablo Larrain che la dittatura l’aveva già raccontata nel bellissimo e struggente Post Mortem, sceglie di girare con una macchina a mano che stringe sui volti e sulle storie personali, fotografate con una grana grossa, “sporca”, che sovraespone le luci, per regalare un senso di verità e avvicinarsi anche alla qualità dei documenti originali che sono montati lungo la pellicola e costituiscono un elemento di straordinario interesse.
La vicenda sullo schermo segue quella di René che come il popolo cileno prende coscienza con il passare dei giorni: protagonista del film è il suo sguardo, la visione che lui ha della storia, contrapposta ad esempio a quella della sua compagna militante o della sua governante che le violenze della dittatura le ha vissute sulla pelle e che oggi comunque voterebbe per il “SI” per conservare le posizioni raggiunte, il lavoro del figlio, il poco di benessere possibile.
La campagna del “NO” replicava modelli occidentali, che oggi possono anche apparire ingenui, ma a uno sguardo attento rivelano un messaggio forte, di pace e riconciliazione, ottenibili attraverso il superamento del passato. Riuscì a far passare il concetto che nelle mani dell’elettore ci fossero la felicità e la possibilità concreta di ottenerla. E così la prima sera, alla messa in onda degli spot, la campagna della dittatura al potere apparve improvvisamente e irrimediabilmente vecchia e perdente.
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