Ecco i tre Giorni della Merla: i canti, i vecchi riti della terra e lo scorrere delle stagioni
29, 30 e 31 gennaio: non solo “i più freddi dell’anno”
I Santi della neve sono passati senza regalare ai campi l’agognata manna bianca, del resto già caduta abbondante prima del loro arrivo. Sant’Ilario, San Mauro, Sant’ Antonio “del nimàl” e “San Bassàn dalla barba bianca” fra il 13 e il 19 gennaio ci hanno regalato solo nebbia e un po’ di freddo. E neppure la fine del mese cambierà il paesaggio soleggiato e le temperature ben sopra lo zero. D’altra parte il 21 gennaio ha rispettato le consegne: “Sant’Agnes la luserta su la sez”! Ma tradizione vorrebbe che il primo mese dell’anno si chiudesse come una volta...
Negli ultimi tre giorni di gennaio i contadini lombardi tenevano vivi i vecchi riti della terra, che non vedeva l’ora di uscire dal ghiaccio e dal gelo invernale per iniziare a far sbocciare gli attesi frutti dopo il lungo periodo di sonno. Il 29, il 30 e il 31 gennaio ecco quindi l’antichissima tradizione dei Giorni della Merla che non solo ci fa rivivere l’epoca dell’Albero degli zoccoli, ma contribuisce anche a risvegliare il bambino che si cela in noi. Nelle scuole primarie i “Giorni della Merla” sono forieri di varie attività didattiche, dal pregrafismo alle filastrocche, dai lavoretti ai canti di un tempo. La leggenda vuole che anticamente gennaio avesse 28 giorni. Una merla, all’epoca con le piume bianche, per tutto l’inverno era rimasta al calduccio nel nido. Finalmente uscita a cantare, iniziò a sbeffeggiare gennaio che se ne stava andando. Questi se la legò al dito e, fattosi prestare tre giorni da febbraio, scatenò la bufera con tanto di neve e gelo. La povera merla trovò riparo in un camino ma quando ne uscì si ritrovò con le piume completamente nere di fuliggine.
Da quella volta tutti i merli furono per sempre neri. Nel Cremonese e nel Lodigiano gli ultimi tre giorni di gennaio sono intimamente legati all’inverno che se ne sta andando e ai riti propiziatori della terra. La leggenda è però viva un po’ in tutta Italia e addirittura anche in Sicilia, dove in gennaio si sfiorano i venti gradi. Nel Bresciano, ahimè terra di cacciatori di passeracei, precisano: la merla uscita dal camino non fu nera ma grigia, perché di tale colore sono le femmine del merlo.
Da noi vale e perdura nei paesi agricoli del lungo Adda (Meleti ma anche Maccastorna) la bella tradizione dei “canti della merla” da intonarsi di concerto con i dirimpettai cremonesi di Crotta d’Adda. Donne con gonna e scialle e uomini col tabarro e cappello si radunano come un tempo sul sagrato della chiesa o in riva al fiume inneggiando all’inverno che se ne va e all’amore, riscaldandosi al fuoco di un grande falò e festeggiando con vino e salsicce. «Butta la rocca in mezzo all’aia, se è nuvolo verrà il sereno» dicevano i nostri vecchi contadini. La rocca serviva per filare quando si allevavano in casa i bachi da seta, prima loro fonte di guadagno nella campagna piena di filari di gelsi. In un paesaggio ancora ghiacciato e bianco, si bruciava l’inverno e si riapriva lo spirito alla vita e al lavoro.
Secondo qualcuno, i tre giorni prendono il nome dalla nobile dama de Merli, che dovendo passare il Po per andare a marito sull’altra sponda, lo fece solo quando il fiume fu ricoperto dal lastrone di ghiaccio. Secondo altri, la “merla” altro non sarebbe che un grosso cannone che fecero passare sul Po ghiacciato. In ogni caso, i Giorni della Merla sono nell’uso comune sinonimo di giornate freddissime. Oggi ormai non è più così, ma resta forte e da coltivare il legame dei nostri padri col lavoro della terra e lo scorrere delle stagioni.
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