Nel giorno della Bellucci a Venezia, attesa dai fotografi, e di David Cronenberg e Philippe Garrel, “invocati” dai cinefili, è un italiano a raccogliere gli applausi più fragorosi. Dieci minuti alla fine in Sala Grande e, prima, a ripetizione a scena aperta durante la proiezione per Scialla di Francesco Bruni, lo storico sceneggiatore di Paolo Virzì che ha portato qui il suo esordio dietro la macchina da presa, proprio come aveva fatto il regista livornese con La bella vita, con uguali risultati. Il suo film, interpretato da un ritrovato Fabrizio Bentivoglio e dallo strepitoso esordiente Filippo Scicchitano è un ritratto “di famiglia” e di un universo giovanile di rara freschezza ed efficacia. Un film sul rapporto tra padri e figli che racconta in realtà molto di più, a cominciare da una Roma tratteggiata dalle luci e dai suoni rap di Amir Issaa & Ceasar production.
Bruno (Bentivoglio) e Luca (Scicchitano) sono due opposti-gemelli che si attraggono: il primo è un professore “in pausa”, una sorta di Drugo Lebowsky che gira in accappatoio e ciabatte e ha abbandonato i sogni della scrittura e dell’insegnamento, deluso e annichilito dai risultati. Il secondo, quindicenne, è invece il “Lebowsky giovane”, capace già di una filosofia di vita spiccia ed efficace che si riassume nel sintetico e perfetto “scialla”, intercalare che Luca usa di continuo in maniera appropriata per indicare un approccio alla vita, che solo a uno sguardo superficiale può sembrare sciatto, arrendevole e banale. I due si incontrano quando ancora non sanno di essere qualcosa più di professore e allievo (inutile svelare la trama anche se non è di un thriller che si sta parlando) e finiranno per dover affrontare una “convivenza obbligata” che li metterà a confronto, innanzitutto con se stessi. Bruno è disilluso, scrive biografie invece di romanzi (ora è alle prese con quella di una pornostar sorprendente che suona Chopin) e fa senza voglia lezioni private a ragazzini a cui ha rinunciato a insegnare alcunché. Luca invece è un perfetto figlio dei suoi tempi, un misto di retorica di strada e di buon cuore, con valori che ha ereditato in qualche maniera dalla madre e dal mondo che lo circonda. Tutti e due sono in cerca, senza saperlo, e tutti e due sono destinati a trovare qualcosa sul loro cammino, basta saperlo cercare senza assilli: “scialla” direbbe Luca…
Il cinema di Bruni (come quello di Virzì peraltro) è popolato di personaggi belli e divertenti, ben scritti e a tratti sorprendenti. Un universo colorato e “leggero” che serve però al regista per addentrarsi in angoli ben più nascosti dei paesaggi umani e di quelli urbani. Fermarsi alla superficie sarebbe un clamoroso errore. Il gergo, il linguaggio di strada di Luca ad esempio, accompagnato dai suoni di Amir Issaa & Caesar production, non è “copiato”, posticcio, si adatta alla perfezione al personaggio e al contesto, e descrive una Roma di borgata senza stereotipi. Lo stesso vale per Bruno, che come cinquantenne deluso non è certo ordinario, ma ha molte e differenti sfaccettature, non “folcloristiche” però. Poi ci sono quelli cosiddetti “di contorno”, che come detto tali non sono in questo cinema, come nel caso del “Poeta” Vinicio Marchioni, lo spacciatore che cita Omero la sera fa guardare alla sua gang di coatti i Quattrocento colpi di Truffaut… Da applausi.
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