Il principe della vicenda è l’«idiota» Colombino, di mestiere «menamerda» (addetto al letame per concimare i campi) a Sacconago, terra di brughiera nell’alto milanese. Morto il curato che gli fa da padre, il ragazzo si ritrova solo a fronteggiare la famiglia della bella Vittorina, determinata a non concedergli in sposa la ragazza. Colombino allora decide di andare a Roma, accompagnato dal fedele mulo Astolfo, per chiedere addirittura aiuto al Papa, finendo poi con il diventare attendente di Garibaldi. È solo una delle quattro storie che compongono la trama di Troppo umana speranza (Feltrinelli), il monumentale romanzo d’esordio del 31enne bustocco Alessandro Mari, ospite questa sera (ore 21, Sala Rivolta del Teatro alle Vigne) del sesto incontro di «Conversazioni d’autore», la rassegna organizzata da comune di Lodi in collaborazione con la Libreria Sommaruga. Accolto dagli elogi della critica, il volume di Mari racconta una grande storia popolare - ironica, tragica, passionale, crudele - che celebra e magnifica chi ha contribuito, consapevolmente o meno, a fare l’Italia. E così, nelle 750 pagine del libro, le esistenze di Colombino, Leda (che fugge dal convento e viene educata alla professione di spia), Lisander Pestegalli (pittore e gran seduttore di donne altolocate) si intrecciano a quella dell’eroe nazionale, José Garibaldi, visto soprattutto attraverso gli occhi della sua amata Aninha incontrata a Laguna, città di tramonti bassi e magia. Storie che si sviluppano negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, in pieno clima risorgimentale, «un tempo di giovinezza del nostro Paese, di passioni forti. Più di carne che di marmo», come lo ha definito l’autore. «Potevo scrivere un libro sui 30enni di oggi, che parlasse di una generazione che non ha più fiducia nel futuro - spiega Mari -, ma ho preferito dedicarmi a un romanzo storico per raccontare un tempo in cui la mancanza di futuro è servita da scintilla per guardare più lontano». Ne è uscito così uno straordinario ed epico ritratto dell’Italia risorgimentale: «Ero consapevole che, da un punto di vista editoriale, la mia scelta poteva sembrara azzardata. Oggi si preferiscono altre misure, anche se esistono ancora lettori che chiedono libri “ciccioni”. Ho impiegato circa cinque anni per mettere a punto il progetto: un’avventura che è passata attraverso ogni tipo di fonte, memorie, archivi, romanzi popolari. Mi interessava soprattutto il “sapore” dell’epoca. Per esempio, credo che leggere Le confessioni di un italiano di Ippolito Nievo sia molto meglio di una qualsiasi storia d’Italia». Per Mari si tratta dell’esordio ufficiale come autore, dopo aver frequentato la Scuola Holden di Torino e aver lavorato nell’editoria come lettore, traduttore e ghostwriter. «Tra il mondo della letteratura, dove mi sono formato all’università, e quello della lettura c’è una grossa frattura. La Scuola Holden è stata una buona opportunità per supplire a ciò. Alla scrittura servono tante palestre, è un lavoro di bottega: per arrivare a dare forma alle idee ci ci vuole allenamento, e quindi fare il ghost o il traduttore è un modo per acquisire le basi della narrazione».
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