Fegiz: quarant’anni di musica italiana

Lo diceva già Francesco Guccini nel lontano 1976 che un critico musicale può anche sparare cavolate. E in quei versi storici dell’Avvelenata (il personaggio preso di mira era Riccardo Bertoncelli, reo di aver stroncato l’album Stanze di vita quotidiana del cantautore emiliano) riassumevano perfettamente quanto, all’epoca, una recensione sul giornale poteva influenzare il pubblico: un elogio o una stroncatura decretavano rispettivamente il successo o l’insuccesso di un disco. Oggi tutto è cambiato. E la “dittatura” dei critici è caduta in prescrizione, sepolta dalle giurie popolari, dagli sms, dai televoti, dai blog, dai social network. Ne sa qualcosa Mario Luzzatto Fegiz, uno dei critici musicali più noti d’Italia, uno che di mestiere fa quello che consiglia al pubblico «se spendere 20 euro per un cd o 50 per un concerto». Ma nell’epoca dove tutto è regolato e filtrato da Internet, la critica forse non ha più senso. Perché il critico è a sua volta criticato da altre centinaia di critici improvvisati, alcuni addirittura più bravi del recensore ufficiale, altri pronti a difendere a spada tratta il beniamino di turno. «Non ho scritto nemmeno una riga su Alessandra Amoroso, e ha venduto 400mila dischi!», è il grido di dolore di Fegiz, protagonista di Io odio i talent show, lo spettacolo andato in scena venerdì sera sul palco dell’auditorium Bipielle organizzato in collaborazione con l’associazione onlus “L’Abbraccio” per raccogliere fondi in favore del reparto di nefrologia dell’ospedale De Marchi di Milano e La Mascota di Managua (Nicaragua). Una sorta di funerale della critica, ma non un funerale triste: con ironia e intelligenza, Fegiz ha raccontato quarant’anni di fatti e misfatti di musica italiana, spaziando tra aneddoti, confessioni e ricordi della sua quarantennale carriera. Sul palco anche l’ottimo chitarrista e cantante lodigiano Roberto Santoro e il fisarmonicista Vladimir Denissenkov, le due spalle di Fegiz con il compito di spezzare in musica il «flusso di coscienza» di un critico che ha visto cose «che voi umani non potreste immaginare». I bersagli preferiti? I talent-show, naturalmente, e le loro creature, i vari Marco Carta e Alessandra Amoroso, della quale Fegiz propone un’intervista in cui confessa di non sapere chi sia David Bowie e abbia solo una vaga conoscenza di Enzo Jannacci. Eppure la memoria è importante: un esercizio attraverso il quale Fegiz riannoda quarant’anni di carriera. La morte misteriosa di Luigi Tenco (con tanto di macumba del fratello del cantante nei confronti del critico che voleva raccontarla in un libro), l’incontro con due geni come Mogol e Battisti, il momento in cui Lucio Dalla scrive Caruso all’Hotel Vittoria di Sorrento. Perché è a questo che serve la musica: fissare un ricordo, un’emozione, e a ripercorrere la storia della nostra vita.

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