Il personaggio di Fortunata esisteva già prima di nascere, cinematograficamente, nel nuovo film di Sergio Castellitto che così (semplicemente) si intitola. Stava già nel viso giovane ma troppo segnato di Italia, nella sua borgata romana, nella testa del regista che inconsciamente deve aver desiderato un futuro per quel personaggio e nella penna di Margaret Mazzantini – moglie, scrittrice e co-autrice – che aveva scritto Non ti muovere e ora ha sceneggiato questo film. Che ha ancora una volta un personaggio femminile come fulcro attorno a cui tutto ruota: Fortunata, irregolare, sempre di corsa, scarmigliata e dolente, con gonne troppo corte, il trucco pesante e una vita che la vede perennemente costretta a inseguire. Con il sogno di un negozio da parrucchiera chiuso in un trolley e la piccola Barbara, sua figlia, da tenere per mano, mentre va di casa in casa, nei quartieri, o dallo psicologo infantile Patrizio.
Il cinema di Castellitto è pieno di energia vitale, accaldato, popolare anche se sempre troppo “letterario” (Fortunata che con quel nome e quel titolo diventa un ossimoro vivente...). Ha i colori forti fotografati da Gianfilippo Corticelli che creano quel filo rosso con Non ti muovere e con gli altri film precedenti (ma in qualche maniera anche con Ozpetek con cui condivide qualcosa nei luoghi e nella costruzione del “contorno”). Fortunata è un romanzo popolare che parla di libertà e della possibilità di riscatto. In una Roma agostana e deserta, polverosa, incandescente. Sovraccarica di tutto, di toni urlati, di reazioni, di canzoni ad alto volume e di citazioni dichiarate, da Pasolini in giù.
Qui si incontrano Fortunata (Jasmine Trinca) - con il suo bagaglio pieno zeppo di problemi - e Patrizio (Stefano Accorsi) che in quanto psicologo potrebbe puntare a risolverne qualcuno e che invece in quanto uomo contribuisce ad ingarbugliare le cose. Attorno a loro la piccola Barbara (Nicole Centani), l’ex marito violento Franco (Edoardo Pesce) e Chicano (Alessandro Borghi) il più irregolare di tutti. Attorno a questo pugno di personaggi, su questo micro universo Castellitto costruisce il suo racconto che sembra voler idealmente dare una seconda possibilità a quella “sua” Italia, attraverso un’altra donna che fa degli errori e che poi ne paga le conseguenze, senza sconti.
Lo sguardo sulla borgata di Mazzantini – l’autrice del testo – però sembra distante, incapace di mischiarsi davvero, di sporcarsi con quella stessa polvere in cui invece si getta la regia muscolare di Castellitto, che si infila nella mischia per fare a cazzotti e scontrarsi senza risparmio. Questo contrasto si avverte, come una forzatura, con il susseguirsi degli eventi sullo schermo, come se esistesse un doppio piano, come se ci fossero distanze incolmabili. Castellitto ci mette invece di suo l’abilità nella direzione degli attori e la vicinanza con essi, che lo rende fin troppo partecipe, poco misurato. Ecco, la misura sembra mancare al film, ma probabilmente il regista nemmeno la cerca, nemmeno la vuole. Per non togliere potenza al racconto, ai suoi personaggi e a una città che boccheggia con loro e con loro diventa personaggio, nemmeno secondario. Protagonista almeno quanto Jasmine Trinca che “Mamma Roma” probabilmente (e giustamente) deve averlo visto e rivisto prima di affrontare questa prova (difficile, ma superata).
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