FOTO ETICA L’Ucraina di Maloletka: le storie “necessarie” raccontate dal festival
Il fotografo ha presentato la sua mostra a Lodi su “L’assedio di Mariupol”
«Vogliamo che il festival porti storie uniche, emozionanti, ma soprattutto necessarie», ha esordito Alberto Prina nell’aprire la visita alla mostra “L’assedio di Mariupol”, che i numerosissimi visitatori hanno potuto seguire sabato e domenica sotto la guida del fotografo Evgeniy Maloletka, autore del reportage vincitore del Master Award 2023, nell’ambito del World Report Award indetto ogni anno dal festival della Fotografia etica. Ed è più che mai necessaria la storia raccontata nelle immagini di questa mostra, per tenere alta l’attenzione su una guerra che dura ormai da più di un anno e mezzo, ma che il fotografo fa risalire ancora più indietro nel tempo: «Per me – dice Maloletka – la guerra non è iniziata il 24 febbraio 2022, ma nel 2014, con l’invasione russa della Crimea. Sono nato non lontano da Mariupol, e già da parecchi anni tutti noi capivamo che i russi volevano riprendersi la città per l’importanza della sua posizione strategica. Così all’inizio del 2022 ho deciso di rimanere a Mariupol, perché era lì che doveva succedere qualcosa». Arrivato in città subito prima che scoppiasse la guerra, il reporter (che nell’ultimo decennio ha anche seguito la rivoluzione di Euromaidan, le proteste in Bielorussia, la guerra del Nagorno-Karabakh e la pandemia di Covid 19 in Ucraina) è rimasto nella città assediata per venti giorni, documentando la devastazione dei luoghi e il dolore della popolazione civile.
Mentre racconta, il fotografo ha gli occhi di chi ha visto da vicino l’orrore, ed è quasi tangibile l’emozione con cui ricorda persone e luoghi che non ci sono più. Così ascoltiamo la storia di Irina, la giovane donna incinta, ferita gravemente in un’esplosione, che vediamo trasportata su una barella improvvisata, e che non riuscirà a sopravvivere: «Ho saputo il seguito della sua storia dal marito, che l’ha cercata per due giorni tra i sopravvissuti senza trovarla. Alla fine si è rassegnato a cercarla nei sacchi neri che contenevano i cadaveri, ed è lì che l’ha trovata, alla fine». Così, ogni immagine – e quelle presentate in mostra sono solo una piccola parte degli scatti realizzati in quei venti giorni – racconta una storia di paura, di devastazione, di speranze spezzate, di impossibilità di qualsiasi contatto con l’esterno.
«Nei primi giorni –racconta ancora Maloletka – era molto difficile stabilire una connessione per inviare le immagini. Poi, quando siamo riusciti a inviare le foto in modo che tutto il mondo le vedesse, la reazione dei russi è stata immediata: siamo stati accusati di aver falsificato le immagini ai fini della propaganda filo-ucraina. E proprio qui abbiamo capito il valore del nostro lavoro, quello di documentare al mondo ciò che era successo veramente». Evgeniy Maloletka è riuscito a uscire dalla città con una fuga rocambolesca proprio il giorno prima del bombardamento che ha distrutto il teatro di Mariupol, dove si erano rifugiate centinaia di persone. «È molto importante –conclude – che non si spenga l’attenzione per quello che ancora sta succedendo in Ucraina».
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