Dopo il Gesù “cuoco”, il Gesù agricoltore. Don Cesare Pagazzi, sacerdote lodigiano e docente di Teologia sistematica presso la facoltà tecnologica dell’Italia Settentrionale di Milano, prosegue sulle pagine della «Rivista del Clero» il cammino di rilettura della figura “terrena“ di Cristo avviato lo scorso anno con il libello La cucina del Risorto (Emi), soffermandosi questa volta sugli aspetti della vita del Messia legati al settore primario. Intitolato Del Signore è la terra (L’attenzione di Gesù alla campagna), il breve quanto intrigante saggio di don Pagazzi si configura come una meditazione di taglio biblico-antropologico che, attraverso l’analisi dell’approccio di Gesù nei confronti dell’attività rurale (peraltro prevalente ai suoi tempi), mette a fuoco l’originaria e perdurante relazione fra l’essere umano e la “madre terra”a dispetto del contesto ormai urbanizzato e industrializzato della nostra civiltà. Una relazione che nasce su un gesto tipico di chi lavora di vanga e aratro: quello di chinarsi, «Chinarsi, piegarsi, flettersi, sono gesti quantomai espressivi - scrive don Pagazzi -. Infatti chinarsi è sempre un “inchinarsi”, davanti a qualcosa di più grande; piegarsi significa ridurre la propria statura adulta, riportandola a quella del bambino (“Se non diventerete come bambini...”, Mt 18,1-4); flettersi è la condizione per “ri-flettere”». Anche se, in molte parti del mondo, la tecnologia fornisce macchine agricole elevate, il contadino, pur da quella posizione elevata, deve guardare la terra. «In questo fondamentale gesto - prosegue il sacerdote - vibra la memoria della propria origine, di fronte alla quale ci si inchina, onorandola: “Allora Dio plasmò il terroso [adam] con polvere della terra [adama] e soffiò nelle sue narici un alito di vita e il terroso [adam] divenne un respiro vivente” (Gen 2,7)». «Chinarsi a terra - aggiunge ancora l’autore - comporta dar credito a qualcosa che non abbiamo scelto: la vita, appunto, dove ci troviamo prima di qualsiasi nostra iniziativa. Piegarsi verso la terra indica anche l’intenzione di rendere ossequio e rimanere prossimi a quanto ci nutre [...] e manifesta inoltre l’ammissione della propria fine e la volontà di apprezzarsi anche se non si è “infi niti”, ma corridori che hanno un traguardo: “ritornerai alla terra [adama], perché da essa sei stato tratto” (Gen 3,19)». Don Pagazzi fa quindi un passaggio di grande attualità (si pensi al recentissimo vertice mondiale sul clima) circa il compito di custodire il Pianeta che l’uomo sembra aver in buona parte dimenticato: «[...]fin dall’inizio, Dio ha voluto l’uomo parente stretto della terra e come primo comando – non reso vano né dai dieci comandamenti né dalla nuova legge del Vangelo – gli ha assegnato il compito di coltivare e custodire la terra (Gen 2,15). Perciò è quanto mai opportuno domandarsi se si crede davvero nel Dio della Bibbia, nel Dio di Gesù Cristo tentando di praticare i dieci comandamenti e il Vangelo a prescindere dal compito di coltivare e custodire la terra. Sarà mai possibile amare le figlie e i figli di Adamo, il Terroso, quando non si è disposti a inchinarsi verso la terra? Sarà mai possibile adorare il Nuovo Adamo, il Nuovo e definitivo Terroso, senza onorare la terra?».A questo punto l’indagine del teologo vira sulle molte “spie” che nelle Scritture permettono di cogliere l’attitudine “agricola” del Figlio di Dio, il quale non si limita a utilizzare il linguaggio tipico della pastorizia (ambito in cui si sapeva muovere indubbiamente a proprio agio) anche nella predicazione, ma fa sovente ricorso a esempi pescati proprio nell’agricoltura. Il Signore dimostra di conoscere assai bene le tipologie di terreni e di piante alimentari coltivabili, addirittura è in grado di valutare le dimensioni dei vari semi (distinguendo tra frumento e senape, ad esempio); sa bene qual è il valore dell’aratro come strumento per dissodare e preparare il terreno (qui in senso anche metaforico), ha chiari i tempi e i modi del lavoro in una vigna e via discorrendo. Il figlio del falegname di Nazareth, insomma, univa alle competenze artigianali mutuate dal padre quasi certamente anche quelle di ordine “agronomico”. «Agire pastoralmente - conclude don Cesare riferendosi alle sfide dell’oggi per la Chiesa - e riflettere teologicamente tenendo conto della campagna non è cedimento alla moda “bio”, o una sviolinata nostalgica a favore dei tempi che furono, poiché chinarsi verso la terra è la Legge data fin dall’inizio, e un aspetto rilevante della vicenda del Figlio di Dio nella carne fino alla sua vita risorta e definitiva».
© RIPRODUZIONE RISERVATA