Gipi fa a pezzi un’Italia popolata di mostri

«Francois Truffaut forse non conosceva l’Italia del 2011 quando affermava che bisogna sempre avere comprensione e raccontare i personaggi anche con i loro lati positivi». Gian Alfonso Pacinotti, in arte (per gli appassionati del fumetto italiano underground, e sono tanti…) Gipi, è un “extraterrestre” a Venezia, lo “strambo”, l’irregolare venuto a svelare una verità che sta sotto gli occhi di tutti. Senza urlarla, con un tratto sottile come quello della sua matita, come il profilo del protagonista del suo film che guarda sull’orlo del baratro, dritto in faccia all’apocalisse, e sorride… “L’ultimo terrestre” (inserito in concorso alla Mostra) fa proprio questo effetto, regala quasi un senso di liberazione, restituisce una lettura del nostro Paese da un’altra prospettiva e proprio perché surreale e “fumettistico”, popolato così com’è di mostri e di alieni, apparentemente distante dalla cronaca e dalla realtà, riesce ad essere penetrante e rivelatore come pochi.

«Uno sguardo sulla catastrofe? Certo io come il personaggio del film penso che sia necessario un cambiamento nel nostro Paese. Il suo sorriso finale significa che lo spero anche. Che i contrasti che viviamo ci potranno portare a questo».“L’ultimo terrestre” è pieno di mostri autentici e di personaggi spregevoli, che descrivono un’Italia al capolinea… «In effetti nel film ho messo solo uomini che hanno lati negativi, anche sbagliando perché Truffaut diceva che bisogna sempre avere comprensione e descrivere i lati positivi che sempre ci sono in ognuno: ma Truffaut non conosceva e non poteva sapere come sarebbe stata l’Italia del 2011…». Un film (bellissimo) girato e “disegnato” come un fumetto, da un esordiente (al cinema) che ha però scelto la storia di un altro per il suo primo lavoro: una decisione assai controcorrente in un cinema così autoreferenziale come quello italiano. Un elemento che è parso addirittura decisivo per la sua buona riuscita: aumentando la distanza con il soggetto il regista è riuscito anche a ottenere maggiore lucidità e misura, per raccontare senza sconti un’Italia volgare e abbruttita, popolata da gente senza scrupoli e poche speranze. «La mia non è stata una scelta consapevole, in questo senso. Ho scelto questa storia (tratta dal romanzo a fumetti “Nessuno mi farà del male” di Giacomo Monti) perché mi è sembrata bellissima e mi è venuta di raccontarla. Il mio rapporto con l’autore, la stima nei suoi confronti, il desiderio magari di affermare e far crescere il fumetto indipendente italiano sono elementi che non sono entrati nella decisione di dirigere il film». Un’opera che, qui a Venezia (tra gli altri italiani), ma in generale in rapporto alla media della nostra cinematografia nazionale, appare decisamente alieno lui stesso, in bilico tra il fumetto e i generi, tra i registri che utilizza e che fanno passare lo spettatore dalla risata allo sgomento in un poche frazioni di secondo. «Non ho mai fatto nel mio lavoro distinzione tra toni differenti, non mi sono preoccupate che questo magari generasse confusione. Penso che il comico il drammatico si mischino sempre tra loro, nella vita e quindi anche in chi la racconta». Ma in questa Italia di mostri che spaventa persino gli extraterrestri costretti alla fuga chi può essere il “terrestre” destinato a salvarci? «A questa domanda sinceramente non so rispondere. Davvero. Posso dire che nel film il personaggio che riesce a capire quello che sta succedendo e che quindi alla fine può arrivare a salvarsi è quello che prova compassione. Ma questa è una cosa mia che forse non c’entra nella, non scrivetela…».

SPECIALE VENEZIA - «Francois Truffaut forse non conosceva l’Italia del 2011 quando affermava che bisogna sempre avere comprensione e raccontare i personaggi anche con i loro lati positivi». Gian Alfonso Pacinotti...

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