Gli ultimi giorni di D’Annunzio: i fantasmi del “cattivo poeta”
Il film d’esordio di Gianluca Jodice con Sergio Castellitto nei panni del Vate
1936, l’Italia marcia in divisa nera verso il baratro mentre Gabriele D’Annunzio insegue i fantasmi – suoi e del regime fascista – al Vittoriale, la tomba museo che si è costruito in vita. Deluso dall’epilogo dell’esperienza di Fiume, ormai considerato una minaccia da Mussolini, si è ritirato nella villa sul lato bresciano del lago di Garda, senza la forza di scrivere, con la decadenza della sua poesia che si è impossessata del suo animo. Ultimo impeto l’opposizione all’alleanza italiana con Hitler «il ridicolo Nibelungo truccato alla Charlot» che gli costerà la vigilanza degli sgherri mandati da Starace a controllarlo.
Non è una biografia filmata “Il cattivo poeta” dell’esordiente Gianluca Jodice, ma un film che cerca d’essere molto altro e molto di più. Il tentativo (riuscito) di ricostruzione di uno snodo cruciale della storia del Paese, attraverso una figura che è stata centrale ma che mai era stata raccontata al cinema in questo modo. Ma ancor di più una riflessione sul potere e sull’opposizione ad esso, che diventa senza tempo e si allunga fino ai giorni nostri.
La storia del federale Giovanni Comini («il federalino», il più giovane d’Italia) mandato a spiare D’Annunzio è ricostruita attraverso le lettere e i tanti documenti d’archivio, il Vate è raccontato ricomponendo gli scritti, la corrispondenza, le testimonianze e non le sue opere. Non è più tempo per la scrittura, D’Annunzio insegue metaforicamente con un bastone i topi che infestano il giardino del Vittoriale e la nazione. Ormai vecchio e fiaccato («i vecchi amano solo la loro sopravvivenza, perlomeno non sono gobbo come il recanatese…») trova un conforto proprio nel dialogo con Comini, che cercherà di tirare dalla sua parte in un inutile tentativo di fermare la deriva di Mussolini.
Forte di una fotografia curata nel minimo dettaglio (firmata da Daniele Ciprì) e di un’architettura dei luoghi che diventano personaggio a sé stante “Il cattivo poeta” ha un impianto teatrale che viene esaltato dalle interpretazioni: a partire dall’esordiente Francesco Patanè (Comini), passando ai ruoli secondari che tali non sono di Tommaso Ragno, Massimiliano Rossi, Fausto Russo Alesi e Lino Musella. Un discorso a parte merita Sergio Castellitto che riesce nell’impresa di arginare gli slanci e d’essere il meno “teatrale” possibile, regalando misura, mezzi toni, intimità al suo D’Annunzio. Un uomo che sente d’appartenere a un’epoca ormai in declino, e che dal suo esilio - forse con il timore della “damnatio memoriae” - vede il mondo precipitare, nelle mani di un potere contro il quale nulla potranno fare le sue parole. Fragili come una piuma di pavone.
Mussolini incombe, c’è, ma non si vede in volto: sta nei cinegiornali, nei busti, sui balconi. Ecco, i balconi da cui parlare alle folle: da qui il regista fa il passaggio successivo e getta uno sguardo sul presente, la stessa cosa che sembra fare il giovane federale affacciandosi sul panorama del lago al Vittoriale, a bordo di quel “finto” incrociatore, ormeggiato in posizione immobile e innaturale sulla collina.
Il cattivo poeta
Regia Gianluca Jodice
Con Sergio Castellitto, Francesco Patané
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