“Gli ultimi Jedi”, eroi di un cinema
che ha ancora bisogno di leggende
Il capitolo VIII della saga di “Star Wars” si rinnova con la regia di Rian Johnson
Il bene e il male. La luce e la tenebra: «tanto abbagliante una, altrettanto profonda l’altra». È sempre stato questo, tutto quanto costruito attorno al confronto di opposti/gemelli. Di cosa parliamo quando parliamo di Star Wars: figli contro padri, luce contro buio, «eroi morti» e lato oscuro. Parliamo di un racconto in cui avventura, passione, ironia, gioco, guerra, navi spaziali e intrattenimento stanno (quando tutto funziona) in equilibrio.
Come accade nel capitolo VIII della serie: sono passati quarant’anni dal primo film, in sala ci sono i figli di quei ragazzini che hanno visto Guerre Stellari in sala e oggi Gli ultimi Jedi, scritto e diretto da Rian Johnson, ha il compito difficile di legare i fili con il passato e di portare tutti quanti (protagonisti e spettatori) verso il futuro.
In equilibrio: mentre sullo schermo gli opposti lottano il film trasmette innanzitutto questo, la sensazione che il regista è in grado di camminare su un filo senza farsi venire le vertigini, sapendo ben bilanciare i tanti ingredienti che ha in mano per arrivare incolume dall’altra parte della sponda. Questo ottavo episodio della serie sembra in grado di accontentare il pubblico più esigente della prima ora (quello che non perdona disattenzioni, eccessive licenze o fughe in avanti) almeno quanto gli spettatori più giovani che possono quasi gustarlo come un episodio a se stante, autonomo (certo non slegato).
«La galassia ha bisogno di leggende» e allora la principessa Leia Organa (impossibile non emozionarsi vedendo Carrie Fisher sullo schermo) e Luke Skywalker tengono molta parte della scena, mentre la sceneggiatura in apparente dissonanza sottolinea che «bisogna lasciar morire il passato». Questo si sta celebrando insomma: un rito di passaggio. I nuovi personaggi introdotti nella puntata precedente diventano via via più definiti, e con loro la storia trova svolte convincenti, anche se arrivati a questo punto è difficile esser sorpresi da quel che si vede. Mentre Skywalker è in preda a tormenti e conflitti interiori nell’isola su cui si era ritirato da eremita il film completa una rivoluzione femminile che covava sin dalle origini e che trova ora la definitiva quadratura. Johnson rispetta l’architettura dell’originale, non tanto per quanto riguarda gli ambienti che rivede parecchio, abbandonando i deserti e trasformandoli anche,ma per la costruzione delle scene d’azione, per come realizza gli scontri tra le navi spaziali e con le spade laser.
Strutturato, personale, autonomo, Gli ultimi Jedi appare da subito più libero, meno vincolato a quel passato (nobile ma ingombrante) che aveva finito per legare troppo J.J. Abrams. Rian Johnson (con tre lungometraggi di livello nel curriculum) dimostra di voler prendere una sua strada sin dalle prime sequenze, spingendo forte sulla chiave dell’ironia e azzardando, fino quasi a demitizzare i Jedi. Il suo non è un film “di passaggio” all’interno della saga, e questo forse nell’arco degli otto capitoli può essere il complimento migliore da fare.
Johnson lascia morire una parte importante del passato, si siede al fianco dello spettatore ad osservare il lampo dell’esplosione, le lingue di fuoco, il rosso delle fiamme che avvolge tutto e piano si trasforma in un crepuscolo. Di un tramonto prima, di una nuova alba subito dopo. Perché, alla fine, la galassia ha ancora bisogno di leggende.
Star Wars: Gli ultimi Jedi
regia Rian Johnson
con Carrie Fisher, Mark Hamill,
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