È un deserto dei sentimenti quello dove in apparenza vivono assiderati i cuori dei protagonisti di Izmena (Tradimenti) il film di Kirill Serebrennikov in Concorso che tra Antonioni e il teatro russo racconta dell’incrocio, casuale e mortale, tra due coppie. Con inquadrature raffinatissime e soluzioni di regia che spiazzano e spostano di continuo il punto di vista, mettendo i suoi personaggi fuori campo, nel riflesso di una vetrina o in quelli dell’acqua di una piscina, Serebrennikov scava dentro i sentimenti, nei rapporti tra coppie, racconta il tradimento, il disagio e le bugie, il dolore di amori imperfetti.
I quattro protagonisti del film scoprono il tradimento dei rispettivi coniugi e scoprono di essere loro malgrado legati in maniera indissolubile. Inutile svelare come e perché, ma l’opera procede come un thriller incrociando i destini fino a farli confondere: quelli dei personaggi principali e anche quelli delle figure di contorno che, un’altra delle “sorprese”, non sono mai del tutto secondari in questo film che più che il tema fa “scandalo” per la potenza delle sue immagini e delle emozioni che trasmette.
Diametralmente opposto è invece il racconto, vero, di The Iceman di Ariel Vromen che, Fuori concorso, ricostruisce un caso di cronaca, quello di uno dei più spietati killer della storia americana, Richard Kuklinski passato alla cronaca come “l’uomo di ghiaccio”, incolpato di oltre 100 omicidi commessi dopo il 1972 e condannato a due ergastoli. Straordinaria in questo caso è l’interpretazione di Michael Shannon che dà al personaggio lo sguardo inquietante che richiedeva: Kuklinski era infatti un tranquillo padre di famiglia, un insospettabile dalla doppia vita che dietro agli occhi quasi inespressivi nascondeva una determinazione omicida messa al servizio dei clan che lo utilizzavano come infallibile sicario. Questa la caratteristica che evidentemente ha conquistato il regista che racconta la sua storia senza mantenere purtroppo le buone premesse iniziali. Quando inquadra Kuklinski senza dire nulla di più di quel poco che svelano gli occhi, trattenendo tutte le emozioni, tutti i sentimenti, facendoli esplodere solo al momento di un’esecuzione, e spesso nemmeno in quel caso. Via via che la vicenda procede il film sembra invece perdere la tensione che fa restare attaccati al personaggio e alla sua sorte, parteggiando quasi per lui; una volta rivelati i tratti essenziali, spiegati o fatti intuire i legami con il passato e con il presente, si finisce per abbandonarlo al proprio destino. La mancanza di un sottotesto, di metafore o di passaggi in grado di far crescere l’inquietudine o l’angoscia per un così tragico protagonista, ne fanno a un certo punto una biopic che richiederebbe però ben altro personaggio per risultare sempre avvincente.
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