IL FIUME DEI LIBRI Un sabato sera con Saviano a Lodi: «Qualcuno è davvero ancora convinto che quel che non si nomina non esiste»

L’intervista esclusiva rilasciata al “Cittadino” dallo scrittore ospite del festival letterario in corso da giovedì a domenica in piazza della Vittoria

La presenza di Roberto Saviano, tra gli scrittori italiani più conosciuti al mondo, rappresenta l’apice della prima edizione del festival “Il fiume dei libri”. Gli abbiamo fatto qualche domanda prima del suo incontro a Lodi.

Chi era Roberto Saviano prima del successo di “Gomorra”?

«Un 26enne che aveva appena pubblicato un libro e sperava di riuscire a intercettare un po’ di lettori. Avevo l’ambizione di diventare uno scrittore, di girare l’Italia - magari il mondo - grazie alle mie parole: non avevo previsto tutto quello che sarebbe accaduto».

Con il pentimento di “Sandokan” Schiavone si può dire riuscita la sua “missione” iniziata con “Gomorra”? Quali sentimenti ha suscitato in lei questa “resa”, se si può definire tale?

«Nessun pentimento, ma una collaborazione con la giustizia iniziata dopo 26 anni di carcere, a 70 anni di età. Non ha il sapore della resa, sembra più una malcelata volontà di mettere a posto gli affari. Con Gomorra non ho abbracciato una missione, volevo portare luce su quanto stava accadendo nella mia terra, una guerra perenne che mi sembrava non interessasse a nessuno. Nessun quotidiano nazionale apriva con i morti a Napoli, nessun tg nazionale dava importanza a una guerra che quotidianamente terrorizzava intere aree del sud, che avvelenava l’economia legale e che stava mettendo radici anche al nord. Se di missione riuscita vogliamo parlare - pur con tutto il fango che mi hanno gettato addosso, dalle firme raccolte contro di me che avrei dato “del mafioso al nord”, alle accuse quotidiane di essermi arricchito diffamando prima la mia terra e poi l’Italia - è stata quella di aver illuminato ciò che prima era in ombra, squarciando un velo di ipocrisia, come se un fenomeno non nominato possa non esistere».

Ha detto che dopo anni di scorta potrebbe tornare libero. Ci sono novità?

«Non credo di aver mai pronunciato questa frase. Ho sicuramente detto che vorrei tornare libero, ma non ho novità in merito».

In una recente intervista, ha dichiarato che “Gomorra” ha rovinato la sua vita e quella dei suoi cari. Baratterebbe il successo – e il fatto di avere scritto un’opera straordinaria e necessaria – con una vita normale?

«Sì, lo baratterei senza pensarci un attimo. La ringrazio per aver definito Gomorra un’opera straordinaria e necessaria, so che ha costituito uno spartiacque, ma col senno di poi mi sono convinto che avrei potuto scriverlo con più prudenza, forse avrei potuto non espormi, ma avevo questa ossessione: volevo che quelle storie e quelle dinamiche fossero conosciute dal numero di persone più alto possibile. Ho sfidato il sole con ali di cera, mi sono fatto male».

Nel suo nuovo libro, “Noi due ci apparteniamo. Sesso amore violenza tradimento nella vita dei boss”, racconta di come le regole delle organizzazioni criminali siano rivolte a controllare soprattutto le emozioni e i sentimenti. Ma come si controllano la passione, la gelosia, l’amore?

«Con la paura. Con il terrore. Con l’imposizione di regole quasi monastiche. Con una sorta di vangelo della criminalità che viene imposto e seguito senza discutere, perché chi sgarra paga con la vita. Osservare le organizzazioni criminali e le regole che si danno, aiuta poi a capire molte delle dinamiche che regolano anche la società cosiddetta civile. Quindi l’obiettivo è sempre quello di guardare l’abisso per capire quanta parte di quell’abisso inconsciamente ci appartiene».

Che ruolo hanno le donne in questo contesto?

«Le organizzazioni criminali conservano un carattere profondamente maschilista, hanno ancora un’impostazione patriarcale, ma le donne hanno sempre ruoli incredibilmente e tragicamente interessanti. Capita che siano più feroci degli uomini per dimostrare le loro capacità di comando e capita che siano vittime sacrificali di un contesto che non dà spazio alla compassione».

Questa sera sarà ospite a Lodi. Lombardia. La mafia al nord è un fenomeno acclarato, anche se qualcuno fa ancora finta di non vederlo…

«Sì, qualcuno è davvero ancora convinto che quel che non si nomina non esiste. Qualcuno è ancora convinto che basta raccontarsi o che le cose vanno nella direzione sperata perché questo avvenga. Viviamo in un Paese che ha le mafie più efferate, più pericolose, più floride, più ricche e più affidabili - sì, affidabili - del mondo e la politica costantemente accusa chi racconta le dinamiche criminali di star compiendo un’opera di diffamazione. Direi che non sarà la politica a emanciparci... tanto vale continuare a scrivere e a raccontare, come farò a Lodi con Francesco Cancellato».

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