«Te lo ricordi quel viaggio che abbiamo fatto tutti insieme in Spagna?». Nemmeno in un ricordo riescono a stare tutti e quattro dalla stessa parte, Giacomo e la sua famiglia. Ognuno lo racconta in maniera diversa quel viaggio e come in quella foto, tutti insieme, non lo sono più stati. Si sfiorano e si inseguono, ma sono destinati a non incontrarsi, in una giornata romana di inizio estate, quella dell’esame di terza media del più piccolo della famiglia, Giacomo appunto che non sarà però l’unico a dover superare una prova importante.
«Mia madre è ingegnere, con tutti i voti altissimi». «Mio padre invece è tipo un artista, dipinge, fa sculture…». Così li racconta all’amica a cui non ha il coraggio di dichiararsi mentre attraversa la città, in attesa di fare quell’esame che sembra non arrivare mai, mentre al telefono si cercano in continuazione. Lui (Francesco Bracci), la madre (Ksenia Rappoport) così precisa, esigente e nervosa, il padre (Fabrizio Gifuni) «figlio di una famiglia nobile che per errore lo ha convinto di avere un grande talento…», e la sorella (Lucrezia Guidone): si sono svegliati in quattro case diverse e forse troveranno la maniera di ritrovarsi, al termine della giornata.
È una sfida coraggiosa quella che raccoglie Francesco Bruni con il suo secondo film da regista. Rinuncia a una certa comicità, alla leggerezza per essere più amaro e sceglie un argomento non semplice, forse il più complesso in assoluto: raccontare le persone normali, una famiglia come tante altre, composta da genitori separati e da figli che vivono in maniera difficile il conflitto che li tiene lontani tutti e quattro. Noi 4 appunto, quelli della foto. Bruni, dopo Scialla! si allontana solo in apparenza dall’esordio: cambia tono, guadagna uno sguardo più intimo, più maturo (forse più autobiografico), ma parla sempre di padri e di figli. Racconta di genitori mai cresciuti, che inventano scuse da ripetere a se stessi e agli altri per non guardare in faccia il proprio fallimento. E di figli destinati a fare i conti con le debolezze e le imperfezioni di chi dovrebbe guidarli. Famiglie distanti che non riescono ad incontrarsi, singoli che si muovono lungo la sceneggiatura “a coppie”, per ricomporsi solo verso il finale. Mentre tutto attorno la città, Roma, sembra travolta dal disordine, dagli scavi della metropolitana e da un giorno caldo di giugno che pare moltiplicare la fatica invece di scioglierla.
Un giorno simbolo, quello dell’esame del ragazzino che si rivelerà decisivo per tutti, e dei luoghi evocativi: il tunnel che si scava tra i reperti della città antica, il teatro occupato dove ritrovare speranze. I quattro che diventano cinque con una Roma trasformata in autentico personaggio. Bruni forse procede in maniera troppo schematica ma ha il coraggio di non essere conciliante e il pregio di non apparire retorico, né ridondante. Non cerca necessariamente il lieto fine e ha un gusto amaro che domina su ogni cosa, anche se non raggiunge il “modello” del sodale Virzì. Sa come scrivere le storie e soprattutto come caratterizzare i personaggi, e scegliendo Fabrizio Gifuni per il ruolo il protagonista si assicura in partenza la metà del risultato (il suo personaggio del genitore vanesio e inaffidabile serve al regista anche per ristabilire un contatto con una certa commedia italiana e con attori che ne hanno fatto la storia). Non vuole emettere sentenze di condanna, non vuole giudicare e le risposte le lascia allo spettatore una volta che la fotografia sarà ricomposta e l’immagine dei quattro più nitida. Al termine di una giornata in cui l’esame di terza media sarà il più semplice da superare.
PRIMA VISIONE «Te lo ricordi quel viaggio che abbiamo fatto tutti insieme in Spagna?». Nemmeno in un ricordo riescono a stare tutti e quattro dalla stessa parte, Giacomo e la sua famiglia. Ognuno lo racconta in maniera diversa...
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