«Il pubblico aspetterebbe di trovare il cadavere nell’armadio persino se dirigessi il Diario di Anna Frank».
Alfred Hitchcock, nel 1960, dopo il successo di Intrigo internazionale è un regista celebrato e ricco. Però schiavo della sua fama e stanco di quegli stessi trionfi che stanno ingabbiando il suo talento. Ha raggiunto l’apice grazie a film oggi considerati dei classici ma all’epoca il suo cinema era trattato alla stregua delle pellicole commerciali che facevano soldi al botteghino e la celebrità (e il denaro) gli erano arrivati soprattutto dalla serie dei gialli televisivi.
Insomma il grande regista, il signore “del brivido”, in patria non era ancora quello rivelato da Francois Truffaut nella sua celebre intervista, e combatteva per trovare nuovi stimoli: voleva cambiare registro e progettava per la prima volta di passare dal giallo sofisticato al terrore. Da questo travaglio nacque Psycho, il suo film più rischioso e controverso, partorito dopo grande sofferenza.
Prova a raccontare tutto questo Hitchcock di Sacha Gervasi, originale operazione di “biopic” che mette a nudo uno dei più grandi registi cinematografici di sempre cercando di rivelare, prima delle luci, quelle ombre che hanno dato vita alla sua straordinaria opera. «Io sono solo un uomo nascosto in un angolo con una cinepresa che guarda: la mia cinepresa mi dirà la verità”, recita Hitch sul set e questa pare la chiave per arrivare a comprendere il personaggio. Un autore che, arrivato a un successo di pubblico universale, è ora alla ricerca di «un semplice malvagio piccolo capolavoro» per realizzare il prossimo film, e che per questo motivo si imbatte nel romanzo di Robert Bloch ispirato alla storia vera di un serial killer.
Il film (con Anthony Hopkins ed Helen Mirren nel ruolo di Alfred e di sua moglie Alma e con Scarlett Johansson nei panni di Janeth Leigh, Jessica Biel in quelli di Vera Miles e James D’Arcy a dare volto e incertezze a Anthony Perkins) ricostruisce così il lavoro fatto attorno a Psycho ed è una gioia per gli occhi dei cinefili che non possono non appassionarsi seguendo l’opera di preparazione e di stesura della sceneggiatura, la costruzione dei personaggi, i dubbi sulle scene più forti e per il nudo di Janeth Leigh intravisto nella scena dell’assassinio sotto la doccia, che provocò ad Hitch i più aspri conflitti con la censura. Per il racconto di come il film fu rimontato completamente, o di come fu scelta la musica: per restituire quello che si vede e dare la suggestione di ciò che non si vede.
Interessante e originale è l’umanizzazione del mito, vedere il genio di Hitchcock alle prese con i problemi finanziari e in lotta con la censura che non vuole che si mostri sullo schermo la tazza di un gabinetto. E poi l’odio verso l’Oscar che non riconosce il suo valore, la frustrazione del lavoro per la televisione che gli chiede sempre la stessa cosa, una replica infinita di una formula che funziona. Il sentirsi incompreso e messo al pari dei film di Dean Martin e Jerry Lewis, con la stoccata verso la critica che lo permette.
Hitch alla vigilia dell’uscita di Psycho è un gigante alle prese con la distribuzione che mette il film in due sole sale, costretto a sperare nel passaparola e addirittura a preparare un regolamento da dare agli esercenti per promuovere la pellicola.
Ecco allora che Hitchcock è un film sul cinema ma è anche e soprattutto un film sulla scoperta del lato oscuro, su un regista geniale che costruiva ogni cosa fin nel minimo dettaglio e spiava i suoi attori dal buco della serratura. Geloso e perennemente a dieta, ossessionato dalle sue attrici, la “bionda” che cercava in ogni film e a cui cambiava pettinature e sceglieva i vestiti, o dalle parti dei protagonisti in cui si identificava, come James Stewart ne La donna che visse due volte. «Mi tradiscono sempre - dice a un certo punto -: Vera Miles ha preferito fare la casalinga piuttosto che essere consacrata da me...».
E infine c’è Alma, la moglie, sempre un passo dietro di lui, che il film mostra addirittura mentre dirige sul set: Hitch non vinse mai l’Oscar per un film, solo nel 1979 l’Academy gli diede il premio alla carriera: «Lo divido con mia moglie» disse quando andò a ritirarlo, svelando in un colpo il suo segreto più grande.
PRIMA VISIONE - «Il pubblico aspetterebbe di trovare il cadavere nell’armadio persino se dirigessi il Diario di Anna Frank». Alfred Hitchcock, nel 1960, dopo il successo di Intrigo internazionale è un regista celebrato e ricco. Però schiavo della sua fama...
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