Il “ritorno a casa” dell’astronauta perso su Marte

Salvate l’astronauta Mark, perso nella desolazione di Marte, abbandonato (per errore) dai compagni di missione e rimasto solo sul pianeta rosso. E’ lui Il Sopravvissuto del titolo, “l’uomo di Marte” del libro di Andy Weir portato sullo schermo da Ridley Scott che contemporaneamente torna alla fantascienza e al grande cinema dopo prove decisamente altalenanti. Restituito al genere (nel senso alto del termine) il padre di Alien e di Blade Runner, colui che insomma ha contribuito a riscriverlo quel genere, ritrova intatta una maestria che pareva smarrita e che riappare di colpo mentre muove i fili di un racconto classico, perfettamente riuscito.

Insomma è una storia di molti ritorni questa, un nuovo “coming home” americano che non racconta di un soldato al fronte da salvare ma di una prateria lontana milioni di chilometri da attraversare, per riconquistare il diritto di rivedere casa.

L’astronauta Mark (Matt Damon) è perso, da solo, sulla superficie di Marte, creduto morto dai suoi compagni di missione e dalla stessa Nasa. Ma dopo l’iniziale - naturale - smarrimento riuscirà a inventarsi la maniera per comunicare con la Terra e per sopravvivere il tempo necessario a far arrivare una missione di salvataggio. C’è poca “filosofia” nelle azioni dell’astronauta Mark che facendo fruttare gli studi da ingegnere e da botanico riesce, nell’ordine, ad allestire una serra, a trovare la maniera di “produrre” acqua, a riparare basi e navicelle spaziali con teli e nastro adesivo. Confidando sempre e comunque sulle proprie forze e facendosi reggere da una fiducia incrollabile (accompagnata da una robusta dose di ironia) e da una super preparazione che lascia poco spazio alla spiritualità e molto ai numeri e alle formule.

Ridley Scott filma Marte davvero come se fosse una prateria rossa al tramonto, e non è sui suoi misteri che si concentra. Anzi. Non ci sono presenze aliene, non si immaginano inverosimili sistemi di trasmissione… C’è invece il rover lasciato lassù dalla navetta Pathfinder nel 1997 e c’è la scienza che prende il sopravvento sul fantastico. Realizzato con il contributo della Nasa il film non nasconde nemmeno per un istante il suo obiettivo di promuovere la ripresa delle esplorazioni: senza diventare uno spot dell’Agenzia spaziale americana (che nel film addirittura arriva a chiedere aiuto a quella cinese…) è evidente lo scopo di “supporto” alle nuove missioni che nella realtà sono già in fase avanzata di preparazione.

Ma questo è solo uno degli sguardi possibili che il film getta sul pianeta e da lì sulla Terra, che sembra all’improvviso più vicina. Scienza e ricostruzioni attendibili si diceva, che hanno superato anche l’esame degli esperti e del pubblico più attento, che non trasformano però l’opera in un trattato di ingegneria spaziale. A vincere su tutto è infatti una formula più complessa fatta di emozioni e di ironia, realizzata ad esempio attraverso una colonna sonora che mette fianco a fianco Space Oddity di David Bowie e gli Abba, per chiudere con Gloria Gaynor (I will survive, ovviamente…). Alla fine Sopravvissuto non è di certo il miglior film di Ridley Scott ma riconcilia lo spettatore con un autore che è stato in grado di regalare film indimenticabili (anche se alternati a cocenti delusioni). E con un cinema che sa regalare emozioni attraverso la forza del racconto.

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