«Ricordare non è nostro compito, l’hai dimenticato?». Jack Harper non ha ricordi, è uno “spazzino” del futuro, raccoglie pezzi dei droni per rimetterli in sesto, mentre la terra è stata annientata da guerre e catastrofi naturali. Nel 2077. Jack è senza ricordi ma vive con l’impressione che non sia tutta qui la sua esistenza, che quella terra ridotta in cenere e deserto «nonostante tutto sia ancora casa sua». Come lo “Sterminatore 17” partorito dalla matita di Bilal, un sopravvissuto, Jack Harper è il protagonista di Oblivion che il regista Joseph Kosinski ha costruito partendo da una sua graphic novel che non era mai stata realizzata (ed è arrivata sullo schermo grazie all’intervento di Tom Cruise che poi ha interpretato il personaggio principale).
Dopo un attacco venuto dall’esterno la terra è rimasta senza la luna, ed è stata distrutta dai terremoti e dagli sconvolgimenti dell’ambiente ancora prima che dalle armi. Vi abitano ancora i pochi come Jack Harper che è addetto alla manutenzione di droni e di trivelle che assicurano l’acqua per la luna di Titano e per le colonie extramondo dove tutti sono andati a vivere.
Ma Jack è curioso, non rassegnato, legge i libri e cita addirittura la leggenda di Orazio che il regista gli fa trovare tra le mani: «Quale fine migliore di affrontare rischi per le ceneri dei propri padri», per riscoprire e conservarne la memoria...
Come il robot del meraviglioso Wall-e il protagonista di Oblivion è un “ultimo uomo sulla terra” che va in cerca di risposte, mentre il regista va in cerca di punti di riferimento e di citazioni che ben presto diventano troppi. Il robot creato dalla Pixar è solo uno di questi, ma in sala scatta automatica la gara a chi ne intercetta di più: Philip Dick, Gattaca, i colori e i suoni di Star Wars. Ma ancora prima 2001 odissea nello spazio e Matrix. Kosinski procede citando con fortune alterne alcune delle tappe più importanti della fantascienza. Passando dal cinema, alla letteratura ai fumetti. Seguendo alcune delle tematiche classiche del genere: l’apocalisse nucleare, gli androidi, il controllo globale, la manipolazione della memoria. Citando, appunto, senza inventare e senza lasciare tracce profonde nello spettatore. Il film si distingue per un gusto hi tech nella costruzione di ambienti, abiti e macchine, realizzato da scenografi e sceneggiatori per costruire un futuro avanzato ma comunque riconoscibile. Un mondo con richiami diretti al nostro, dove l’ambiente è in equilibrio precario e la sua degenerazione rappresenta anzi un pericolo per la razza umana. Un universo dove la guerra e il lavoro sporco vengono demandati ai droni e gli esseri umani rimasti lottano per la sopravvivenza in un mondo distrutto, in cui tutto è perduto e tutto è deserto e anche una semplice pianta rappresenta un pericolo.
A stento resistono nella memoria pochi ricordi, quelli di una partita di football o di un pomeriggio tra la folla, flash back che sembrano appartenere a una civiltà lontana. Come quel libro con le storie degli eroi dell’antica Roma: siamo destinati a fare la stessa fine? suggerisce quindi Kosinski che è regista di talento ma si accontenta di un fattura ben confezionata che è anche assai convenzionale. In un’opera che allinea tanti argomenti ma non sviluppa poi i più complessi. Con il risultato che alla fine la sensazione del deja vu resta più forte nello spettatore che non dell’eroe-spazzino Jack, destinato a un eterno ritorno.
PRIMA VISIONE -«Ricordare non è nostro compito, l’hai dimenticato?». Jack Harper non ha ricordi, è uno “spazzino” del futuro. Nel 2077. È senza ricordi ma vive con l’impressione che non sia tutta qui la sua esistenza, che quella terra ridotta in cenere e deserto «nonostante tutto sia ancora casa sua»....
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