«La filosofia alle radici delle grandi domande e dei malesseri dell’uomo»

L’intervista Nicoletta Poli, filosofa, scrittrice e presidente dell’Associazione Italiana Consulenza Filosofica

Lo scorso agosto, a Roma, si è tenuto il 25esimo Congresso Mondiale di Filosofia (l’ultimo si era tenuto a Pechino nel 2018) e, per la prima volta, è stata prevista una sessione specifica sulla consulenza filosofica dal titolo: “Philosophical Counseling and Practices”. In un’aula gremita di studenti, professori e semplici uditori all’Università La Sapienza di Roma, è intervenuta anche Nicoletta Poli, filosofa, scrittrice e presidente dell’Associazione Italiana Consulenza Filosofica (AiCoFi), nonché direttore del Centro di Formazione “Parresia” per Filosofi pratici di Bologna e Roma.

Vorrei iniziare chiedendole quale sia la sua esperienza di consulente filosofica.

«Ho sempre pensato che, fin dai tempi antichi, la filosofia fosse fonte di cura. Da Socrate, passando per Epicuro col suo quadrifarmaco, la filosofia è sempre andata alle radici delle grandi domande e malesseri dell’uomo. Io stessa, come ho spiegato in un bellissimo seminario di psiconcologia organizzato dal prof. Grassi e dal suo Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Ferrara, nel settembre 2023, in uno dei momenti più bui della mia vita, sono ricorsa alla filosofia per comprendere che è importante non quanto tempo viviamo, ma come viviamo. Darci un senso, dunque. Dunque, se vogliamo parlare di terapia filosofica, essa è un imperativo per spingere la persona a prendersi cura di sé, dando un senso alla propria vita. Ma gli strumenti che vanno utilizzati devono essere solo specificatamente filosofici. Sicché, ho anzitutto frequentato una scuola a Genova 15-16 anni fa quando la consulenza filosofica era ancora agli albori, almeno in Italia, e poi ho scritto un libro “Vite contro-vento. La consulenza filosofica individuale.”, proprio per distinguere i nostri strumenti euristici nella cura della persona da quelli che utilizzano gli psicologi ed altri terapeuti. E quali strumenti avrei potuto indicare se non quelli inerenti alla retorica, in particolare quella epidittica? Per Isocrate, per esempio, la filosofia e la retorica, in particolare, serve a far crescere e a far maturare gli individui, diventando buoni cittadini, votati alla cura, oltre che di sé, della società. Così per Socrate, per cui la filosofia ha la massima finalità del risveglio etico morale della polis. Dunque, questa terapia filosofica ha un fine nobile, che è quello di sviluppare una maggiore conoscenza di sé nella persona, ma anche una più nitida consapevolezza delle proprie virtù e qualità esistenziali per metterle al servizio della comunità».

Oggi sono tante le proposte di aiuto, ma qual è la sua posizione nel contesto delle pratiche filosofiche?

«Noi ci troviamo oggi in un mondo in cui le relazioni di aiuto proposte sono tante e spesso anche confuse e poco professionali. Esiste un vasto mondo del counselling, in cui lo scopo è quello esclusivamente di un benessere individuale, spesso molto ego centrato. Non solo. L’approccio, anche nel counselling filosofico è di tipo psicologico. Tale differenziazione, in Italia, ha delle precise origini storiche. Come AiCoFi e scuola “Parresia” di Bologna e Roma, abbiamo una chiara impostazione sulle finalità e metodologie da utilizzarsi nelle pratiche filosofiche, che ho espresso sinteticamente prima. Credo che oggi la filosofia abbia un preciso compito, che è quello di ristabilire un vero dialogo, un vero confronto in una situazione mondiale globalizzata, ove il logos, come pensiero e parola secondo ragione, è svilito e deriso e dove trionfa la doxa (dal greco, che significa opinione, credenza). E che deve ristabilire una discussione sui valori, nel senso di un Nuovo Rinascimento in cui la cultura abbia la specifica funzione di far rifiorire l’uomo in tutti i suoi approcci metafisici, non badando troppo all’avere, ma all’essere, trovando il senso del proprio esserci nel mondo. Secondo il grande psicologo e filosofo del ventesimo secolo William James, la filosofia è “uno sforzo insolitamente pervicace per pensare chiaramente” e parla di meliorism, una dottrina etica che è una grande scommessa per fare dell’uomo un progetto virtuoso, perseguendo il pensiero chiaro. Oggi c’è confusione, tanta informazione e poco logos, appunto».

Oggi si sente sempre più parlare, e fortunatamente con sempre più cognizione di causa, di problemi legati alla salute mentale. In che cosa l’uso delle pratiche filosofiche (o della filosofia in senso più generale) può essere di aiuto?

«In 15 anni di attività formativa e professionale ho operato nell’ambito del disagio a diversi livelli, trattando anche patologie quali borderline e bipolarismo, in alcuni casi in collaborazione con psicologici e psichiatri (parte farmacologica). Ovviamente noi trattiamo persone che possono “stare in dialogo” e non trattiamo patologie psicotiche gravi. Ma in questi anni, dicevo, abbiamo lavorato molto con psicologi e psichiatri, collaborando insieme, per cui il clima è cambiato. Questi ultimi anni hanno visto una sorprendente esplosione del lavoro interdisciplinare tra filosofia e psichiatria. La filosofia, con la psichiatria, sta già facendo tanto in alcune importanti aree: la pratica centrata sul paziente, la ricerca e la formazione. Questo è valido se parliamo di una pratica centrata sulla persona e sui valori, nell’ambito di una medicina che è maggiorente umanizzata e di una psichiatria che sempre più si integra con la filosofia e sempre più si appella alla fenomenologia e all’ermeneutica. Lo specifico output del “pensiero chiaro” in filosofia è quello di fornire alla psichiatria un quadro più completo del pieno significato dei complessi concetti attraverso i quali diamo un senso al mondo. La fenomenologia, l’esistenzialismo sono particolarmente utili, come già riconosceva Jaspers, per fornire una serie di strumenti pratici per lavorare con i significati personali, oltre che con le scoperte scientifiche, in psicopatologia. In molte parti del mondo i servizi per la salute mentale sono gestiti da gruppi multidisciplinari: tale approccio garantisce che una serie di competenze diverse (medica, psicologica, filosofica, sociale, ecc.) si possano integrare armoniosamente per andare incontro ai bisogni del singolo paziente. Anche nell’ambito formativo, la filosofia è in grado di dare un ampio contributo alla psichiatria, attraverso lo sviluppo delle generiche capacità di riflessione, del già citato” pensiero chiaro”, essenziali in tutte le aree della pratica».

C’è un passaggio, nel suo intervento al Congresso Mondiale di Filosofia, in cui parla della necessità di un Nuovo Umanesimo. Di cosa si tratta e come lo intende? Mi sembra interessante cogliere il valore della consulenza filosofica non solo come relazione di cura – fra il filosofo e il suo ospite -, ma altresì come cura per il vivere civile…

«Proprio così. Un riferimento fondante per il filosofo pratico è il modello dialogico umanistico trasformativo, unica via per un Nuovo Umanesimo. Spesso la cultura occidentale ha un’abitudine: quella di ignorare i confini della propria legittimità, che è fondata sull’idea di un Io che vuole dominare, e lo fa privando la persona dei propri spazi legittimi. Una forma mentis, eredità della logica aristotelica, la quale con i suoi tre principi (identità, non contraddizione e terzo escluso), impone un modo di pensare esclusivo: “o l’uno o l’altro”. Trattasi di un pensiero binario per cui l’inclusione non è considerata un valore. Ma senza inclusione non v’è umanità. Di certo bisogna cambiare paradigma a partire da alcune riflessioni di tipo socio-politico-economico. Non esiste un Nuovo Umanesimo se non v’è una vera democrazia, figlia della polis greca, come forma di governo che si basa sulla sovranità popolare, la partecipazione in piena uguaglianza all’esercizio del potere pubblico e l’isegoria (eguale diritto di parola). Una società dove la dignità delle persone e il bene comune vengono rispettati. Non v’è un Nuovo Umanesimo se non si torna a stabilire la differenza fra cittadino e suddito. Non esiste un Nuovo Umanesimo se non v’è un’economia differente, concepita non più secondo il paradigma della produzione e del consumo in vista dell’accumulazione di capitale, bensì orientata alla cura del bene comune. Un’economia che non faccia vittime, che non umili le persone, che non venga considerata una scienza perfetta, ma come un ambito che deve interagire con la cultura. I modelli capitalistici successivi agli anni ‘80, sono tutti insostenibili. Insomma, dialogo autentico, libertà, acculturamento, compassione, etica e altruismo sono le strade da percorrere non solo per l’evoluzione del pieno potenziale umano, ma anche per la sopravvivenza stessa dell’umanità. Non esiste un Nuovo Umanesimo senza tornare all’uomo, ad un uomo virtuoso, responsabile, tenace nel proprio essere uomo, come sosteneva Marco Aurelio».

A cura di Luca Servidati

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