LA MOSTRA Baj torna “a casa”
A Milano nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale
A più di dieci anni dall’esposizione dei “ricostruiti” “Funerali dell’anarchico Pinelli”, che tanto scandalo diedero nel ’72, all’indomani del “malore attivo” che fece cadere da una finestra il ferroviere milanese durante l’interrogatorio cui era stato sottoposto per i fatti relativi alla Strage di Piazza Fontana, torna a Milano nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, fino al 9 febbraio del prossimo anno, con la sua carica politicamente scorretta, insufflata dell’ironica e beffarda risata patafisica, un’ampia selezione dell’opera di Enrico Baj. Questo al volger celebrativo dei cento anni della nascita di uno dei protagonisti indiscussi dell’arte italiana del secondo dopoguerra. “baj chez baj”, scritto proprio così in minuscolo alla moda dei “philophes” così amati pure da enrico ghezzi, antologizza in dieci percorsi tematici, curati da Chiara Gatti e da Roberta Cerini Baj, autrici anche del catalogo Electa, alcune delle più iconiche “trovate” dell’artista di Vergiate. Dagli inizi segnati dall’influenza ancora del Surrealismo e approdati, grazie ai movimenti che animavano la Milano degli anni 50 e alle opere “spaziali” di Lucio Fontana, nei manifesti dell’arte nucleare. D’altronde, era quello il tempo dei lanci dei primi razzi nello spazio e della guerra fredda che si combatteva anche sul terreno della corsa agli arsenali atomici. Era ieri, ma sembra di essere nell’oggi. Riferita questa amara constatazione, gli anni sessanta imprimono una svolta nella ricerca di Baj. Il pacifismo, il ripudio della guerra, l’antimilitarismo si affacciano nei suoi lavori. La serie dei Generali con i loro lustrini, le divise sgargianti, le pose da parata, e i petti gonfi di medaglie, sono il risvolto satirico di chi crede nelle proiezione salvifica di un’arte che sappia essere allo stesso tempo engagé e leggera. Ma, non superficiale. Proprio la composizione dei Funerali dell’anarchico Pinelli provocano nell’artista l’impulso a nuove ricerche andando a recuperare la lezione, oggi pienamente compresa e scomoda, di Picasso. Prerogativa filosofica di Baj è stata quella di non perdere di vista il continuo dialogo con i maestri dell’arte. Pur restando ancorato a un’idea di avanguardia e sperimentazione espansa anche alla scrittura. Testimonianza di tale attitudine alla riflessione sono gli articoli, interventi e libri pubblicati negli anni. Alcuni, più volte ristampati, sono diventati dei veri classici come “la Patafisica” (che meriterebbe un approfondimento) e “Ecologia dell’Arte”. A tal proposito interessante è la doppia ouverture che introduce alla visita della mostrae che giustappone in rapida dissolvenza, ma fisica e tangibile, l’imponente “Apocalisse”del ’79 a un bookshop che è una vera e propria biblioteca “vivente” di ciò che è stato pubblicato di, su e intorno alla vita di Baj.
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