LA MOSTRA Bartolini alla Fondazione Rovati

È incessante e foriera di molte e inedite novità, l’indagine sulla scultura nei secoli che la Fondazione Rovati sta compiendo, intersecandola con la propria collezione d’arte etrusca contaminata alle opere di alcuni grandi maestri della contemporaneità: da Paolini a Ontani, attraversando il pop di Warhol e l’astrattismo di Remo Bianco. In mezzo però vi è anche una presentissima attenzione alla scultura (mai considerata lingua morta come da taluni) ottonovecentesca. Prime prove si sono avute con le mostre dedicate a Diego Giacometti, fratello del più celebre Alberto, e Gino Severini, collocate in rapporto alla missione della Fondazione milanese di stabilire connessioni e dialoghi artistici e culturali con i manufatti etruschi. Ora e fino al 16 febbraio prossimo, curata da carlo Sisi e accompagnata da un quaderno edito dalla stesse fondazione, è possibile visitare “Il volto e l’allegoria. Sculture di Lorenzo Bartolini”, mostra che ruota intorno a una bifocalità espansa e destinata alle visioni plurime e allegoriche de “la carità educatrice” e alla molteplicità dei busti e volti scelti. Denominatore comune la donna. Dunque, una mostra tutta “al femminile”, in cui lo scultore, vissuto a cavallo tra i cascami del neoclassicismo e la rivendicazione di motivi romantici, cari a una letteratura capace di trasformare i sentimenti in passioni e virtù etiche e civili. Il salto intellettuale che Bartolini compie è quello di recuperare un “purismo” che torna a osservare non la classicità greco-romana, ma la pittura e scultura del Quattro-Cinquecento. Raffaello su tutti, riconoscendo all’Urbinate di essere non il trait-d’union tra epoche, ma il fondatore di linguaggi nuovi, proiettati nel futuro. Sta ai posteri poi raccoglierne i frutti. E Bartolini è stato tra i più pronti ad assorbirne gli insegnamenti, elaborando un linguaggio scultoreo originale e autonomo, insufflato da un respiro etico e sentimentale allo stesso tempo.