LA MOSTRA Mario Dondero. La libertà e l’impegno a Milano
L’omaggio al fotografo fino a settembre a Palazzo Reale
Due, tre scatti, anche uno solo, possono fare la fortuna di un fotografo. Mario Dondero, quelle due, tre fotografie le ha scattate davvero per come nell’immaginario collettivo sono diventate immediatamente punto di riconoscimento di quello scrittore o artista. Impossibile prescindere il nouveau roman dall’iconica immagine che ritrarre il gruppo di scrittori francesi con in mezzo uno ieratico Beckett o scordare Pasolini accanto alla mamma Susanna. Questo tanto per dire di un fotografo che ben vien illustrato da una mostra, oggi a Palazzo Reale di Milano (a cura di Raffaella Perna, catalogo Silvana Editoriale, visitabile a ingresso libero fino al prossimo 6 settembre), che esplicita la complessità del suo lavoro. Non a caso racchiuso in quell’endiadi sotto pancia del suo nome: Mario Dondero. La libertà e l’impegno. Vi è da aggiungere che questa mostra è stata voluta fortissimamente dalla figlia del fotografo, Maddalena Fossati Dondero, che senza alcun tipo di infingimento in un rapido scritto introduttivo traccia il lato più fragile e intimo del padre, non tacendone le mancanze, ma esaltandone la capacità di non togliere lo sguardo dalla povertà e dalle brutture del mondo, restituendo però una bellezza fiera e mai doma a uomini e donne, bambini e anziani di ogni latitudine: dall’ Algeria della metà del ‘900 fino alla Kabul di inizio XXI secolo. Divisa in capitoli che ne documentano sia i viaggi, i reportage, alcuni momenti in cui la Storia, con la s maiuscola, attraversa la vita quotidiana (e Dondero si trova non per caso lì: si pensi solo alle iconiche immagini del ’68 parigino o all’intenso scatto che documenta un istante di quotidianità vicino al Muro di berlino qualche giorno prima della sua caduta). D’altro genere sono però le “escursioni” su set di film (i Comizi d’amore di Pasolini, uno dei suoi soggetti preferiti), agli studi di artisti (lunga la teoria di ritratti: da Burri a Calder e a Bacon). E ancora il cinema, la canzone la danza: dalla malinconia di Jean Seberg (e si sa la fine che fece l’interprete di Fino all’ultimo respiro), alla strafottenza di Serge Gainsbourg o alla leggerezza di una giovanissima Fracci.
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