LA MOSTRA Ricognizione sugli “Etruschi del Novecento”

L’esposizione alla Fondazione Rovati di Milano

Ancora una volta e in modo inatteso si mettono in mezzo le singolari coincidenze della storia. E sono tanto sorprendenti da far cadere la mostra alla Fondazione Rovati di Milano, Etruschi del Novecento (visitabile fino al 3 agosto 2025), spin-off di una più ampia ricognizione sulle influenze culturali della civiltà pre-romana su alcuni dei maggiori artisti italiana del XX secolo realizzata dal Mart di Rovereto, nei giorni in cui a Siena viene celebrato, attraverso convegni, Ranuccio Bianchi Bandinelli a cinquant’anni dalla morte e a 125 dalla nascita. Infatti, l’archeologo e storico dell’arte senese fu l’iniziatore della riscoperta della civiltà etrusca con un suo libro, più volte ristampato e scritto a quattro mani con Antonio Giuliano, Etruschi e Italici. Prima del dominio di Roma. E non a caso viene richiamato, anche nel catalogo, edito da Fondazione Rovati e Mart, che accompagna la mostra, dai curatori Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Giulio Paolucci e Alessandra Tiddia: «L’artista etrusco, a differenza dell’artista greco, non ha mai avuto la preoccupazione di creare un archetipo di bellezza. Tende, prima di tutto, all’espressione. Cerca il carattere piuttosto che la bellezza, l’insieme espressivo piuttosto che la perfezione dei dettagli». A riportare queste parole è Vittorio Sgarbi, in quanto presidente del Mart e suggeritore della mostra, che aggiunge: «È per queste ragioni che molti artisti del Novecento ritrovano nelle suggestioni etrusche quella necessità di essenzialità che è propria dell’arte contemporanea». Dunque, è questa la piattaforma espositiva in cui l’antico e il moderno si trovano a competere e compenetrarsi nella contemporaneità dell’oggi. Il manufatto, la suppellettile, l’oggetto d’uso comune etrusco trova pertanto un corrispettivo nell’aura autoriale novecentesca. L’antico anonimato trova ragione nell’inedita predisposizione all’uso di materiali cosiddetti anticlassici. Ceramiche, bronzetti, effigi, volti, idoli e soggetti di varia natura in una sorta di transfert artistico vengono reinventati da Giò Ponti, Arturo Martini, Fausto Melotti, Marino Marini, Leoncillo, Francesco Messina, i fratello Basaldella e dai meno noti, con esiti peraltro altissimi, Francesco Randone, specialista nel trattare il bucchero, Angelo Biancini e Manlio Trucco.

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