La fine del mondo è già passata, la terra è diventata un pianeta inospitale e pericoloso da circa mille anni. «La terra, un paradiso. Prima che lo distruggessimo…».
Questo sanno di noi, del nostro “paradiso”, i posteri che in After Earth ricordano come sia stata la mano dell’uomo a portare alla fine di tutto: alluvioni, inquinamento, devastazioni che hanno costretto il genere umano a trasferirsi su un altro pianeta, chiamato Nova Prime. Qui vive il generale Cypher Raige, “pronipote” nostro ed eroe di guerra che, rientrato a casa dopo un lungo incarico, prova a fare da padre al figlio tredicenne. Mentre i due si trasferiscono, a bordo di un’astronave, per un’ultima missione, vengono colpiti da una tempesta di meteoriti che li costringerà ad atterrare proprio sulla Terra, divenuta territorio invivibile. Un pianeta in quarantena sulla cui superficie «ogni cosa si è evoluta per uccidere gli umani».
È lungo e insistito, ben sottolineato sin da principio, l’elenco dei collegamenti con la nostra attualità in After Earth: la distruzione causata per mano dell’uomo, i pericoli che non sono più “alieni” ma vengono dall’interno… Ed è su questa trama che si sviluppa la storia diretta da M. Night Shyamalan (il regista de Il sesto senso) che vede Will Smith in doppio, triplice, ruolo, coinvolto sin dalla fase di produzione e di scrittura del soggetto, per arrivare alla recitazione, dove è impegnato al fianco del figlio Jaden, per rafforzare se possibile il legame di “paternità” con il progetto.
Una storia di padri e figli insomma, un film che nasconde dietro l’azione una riflessione non banale sulla paura, che è proiezione della nostra mente quando teme l’ignoto e un futuro che non conosce. «Il pericolo è reale ma la paura è una scelta» recita il generale che assiste al percorso di crescita del figlio adolescente, che lo guarda da lontano affrontare i pericoli senza poterlo aiutare e che, di più, a lui si affida per la sua stessa sopravvivenza, arrivando anche ad accettare contronatura di “scambiare i ruoli”.
Cercano un respiro più ampio regista e sceneggiatori, una maniera di raccontare che superi i confini del genere, e guardano alla letteratura e al grande romanzo d’avventura: citano Moby Dick e Melville e mettono il ragazzo sulla “linea d’ombra” di Conrad, costretto a risalire un fiume per raggiungere l’età adulta. Il film diventa così storia di formazione e altro ancora, in un contesto facilmente riconoscibile per il pubblico (con l’ostilità dell’ambiente che sembra riprodurre quella delle avventure di “surviving” di tanti serial tv…). Peccato che M. Night Shyamalan da un certo momento in poi scelga uno sviluppo piuttosto convenzionale per il suo film, attento a non mischiare troppo i toni e a lasciare separati bianco e nero, i buoni dai cattivi.
Bella rimane invece la riflessione sulla paura, così come la scelta narrativa di mettere gli occhi del padre letteralmente “dietro le spalle” del figlio per guidarlo, come se il genitore potesse così scontare le colpe della sua precedente assenza. Colpe che sono quelle degli stessi avi che hanno abbandonato e distrutto la terra millenni prima: la missione del padre è così un risarcimento per gli errori del passato. Che assomigliano terribilmente, e ovviamente, ai nostri.
PRIMA VISIONE La fine del mondo è già passata, la terra è diventata un pianeta inospitale e pericoloso da circa mille anni. «La terra, un paradiso. Prima che lo distruggessimo…». Questo sanno di noi, del nostro “paradiso”, i posteri che in After Earth...
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