Cultura
Venerdì 25 Febbraio 2011
La Regola di Benedetto, ricetta per l’impresa
Il ruolo dell’ordine monastico nell’economia spiegato a Lodi da un esperto
n Che i benedettini abbiano rivestito un ruolo cruciale nello sviluppo economico dell’Europa non è una novità, basti pensare alle paludi bonificate, alle città sorte attorno ai loro monasteri, alla diffusione della cultura grazie al paziente lavoro degli amanuensi, alla produzione su larga scala di birra, vino, formaggi, prodotti farmaceutici. È invece una novità assoluta - o almeno giunge tale alle circa cento persone presenti lunedì sera nel foyer dell’auditorium Bpl - affermare che la regola benedettina abbia molto da insegnare alla moderna impresa, di più, contribuisca a migliorare la sua efficienza e la sua competitività. A dirlo è Massimo Folador, partner di una società che si occupa di consulenza strategica e formazione, autore di un volume (Il lavoro e la Regola. La spiritualità benedettina alle radici dell’organizzazione perfetta, Guerini e Associati 2008) presentato lunedì sera durante un incontro promosso dalla Banca popolare di Lodi. «Io non sono un monaco, né credo lo diventerò mai» ha esordito Folador rispondendo a una domanda del direttore del «Cittadino» Ferruccio Pallavera, «ma conoscendoli da vicino mi sono reso conto che li avrei voluti al mio fianco in azienda: sono abili, concreti, limpidi, persone di grande spiritualità ma anche uomini d’azione; nella società di oggi, alle prese con un un’economia disperatamente alla ricerca di un modo efficace per affrontare la complessità che la circonda, il loro esempio potrebbe contribuire a migliorare la situazione». Dal punto di vista gestionale ad esempio, per trasformare l’azienda in una comunità organizzata che garantisca a tutti la possibilità di usare meglio il proprio talento, aderendo a un nuovo paradigma culturale improntato all’eccellenza, al «ben fare». Al centro: la persona. «L’etimologia di “monaco” rimanda a una parola greca che significa “persona unificata”. L’idea di Benedetto, ha aggiunto Folador, «era di creare una comunità in cui la persona potesse trovare la propria ragion d’essere, e oggi la sua regola suona come un urlo rispetto alla necessità di restituire un’unità a questa società così frammentaria». Anche nel 540, anno di pubblicazione della Regola, la situazione era alquanto caotica: «Roma era in disfacimento, ma Benedetto capì subito di non poter fare nulla da solo; allo stesso modo, chi fa azienda oggi dovrebbe rendersi conto che anche il capo più illuminato non sarà mai in grado di badare alla complessità posta dal mondo contemporaneo». Un imprenditore lungimirante dovrebbe invece formare un gruppo, un cenobio appunto, «una rete organizzata di persone in cui ognuno metta in campo i propri talenti individuali per il raggiungimento del bene comune». Il dialogo, naturalmente è fondamentale, così come la capacità di non farsi sballottare troppo dalla furia degli eventi, recuperando un felice equilibrio fisico, mentale e spirituale. La preghiera e il silenzio sono due tasselli fondamentali: «A chi mi chiede qual è la parte più importante della mia giornata lavorativa rispondo: l’ora di preghiera in cui mi raccolgo al mattino».
Si.Ca.
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