e25rYymKK9EUna gran risata sulle ipocrisie di questo Paese in cui i furbi hanno sempre più fortuna e gli onesti sempre meno. Meglio ridere in fondo per i ricercatori diventati ricercati, per i laureati senza lavoro e per quelli costretti ad inventarselo, dopo aver capito che gli anni passati sui libri sono diventati un peso, per giunta non retribuito.
È una nuova “banda degli onesti” quella raccontata da Sidney Sibilia in Smetto quando voglio, messa in piedi da Pietro Zinni, neurobiologo a cui sono stati tagliati i fondi dall’università e che si ritrova a 37 anni senza un lavoro e senza stipendio. «C’è una notizia brutta e una pessima» gli annuncia il professore intrallazzatore: quella brutta è che non ci sono più i soldi per la sua ricerca, quella peggiore è che all’università resterà il suo collega raccomandato. Ecco allora l’idea semplice ed eversiva: radunare «le migliori menti della sua generazione» per restituire con gli interessi quanto mandato giù fino ad oggi, iniziando a guadagnarsi illegalmente da vivere come i tanti che sono passati avanti mentre loro erano impegnati a studiare. Ci sono i due latinisti impiegati alla pompa di benzina, malpagati dal titolare cingalese, e l’esperto di economia che cerca fortuna applicando le teorie di calcolo al poker; e ancora il chimico che lava i piatti al ristorante cinese, in attesa della promozione a cameriere, e l’antropologo che potrà finalmente mettere a frutto gli studi per trasformare un pugno di nerd in un’autentica banda di criminali. Insieme creano una “smart drug”, una droga sintetica non ancora inserita nelle sostanze illegali, per prendersi la rivincita e realizzare una sorta di “sogno americano” politicamente scorretto in cui il fine giustifica i mezzi per arrivarci.
Andrebbero citati probabilmente la serie tv Breaking Bad e anche Furto in pasticceria di Italo Calvino, ed è impossibile non pensare alla “banda degli onesti” di Totò e Peppino proiettata nel futuro guardando l’improbabile e divertentissimo «romanzo criminale» di Sidney Sibilia. Quello che fa il giovane regista al suo primo lungometraggio è accostare la nostra commedia migliore al cinema di genere: il suo è un film che innanzitutto ha un gusto lontano da quello televisivo che è invece dominante nel cinema della stragrande maggioranza dei colleghi in sala. Forse ha amato Guy Ritchie e forse la serie di Ocean, di sicuro in Smetto quando voglio sono molte le citazioni dichiarate che è divertente andare a cercare.
Sibilia non ha paura di essere scorretto per mettere in ridicolo un paese che si ritrova con le sue migliori menti costrette a barcamenarsi per sbarcare il lunario. La metafora, certo sgradevole e forzata dei ricercatori costretti a fare gli spacciatori, gli serve per sollevare le contraddizioni di una società ormai abituata a capovolgere i valori. Smetto quando voglio non è un film denuncia, certo, ma è una bella sorpresa: un film intelligente, una storia scritta e diretta con straordinaria vivacità. E se qualche volta sembra troppo indulgente con la carriera criminale di questa banda “sbandata” lo fa per rendere ancora più stridente il confronto con tutta un’altra serie di crimini che nella realtà restano regolarmente impuniti, come la corruzione, la raccomandazione, la disonestà negli ambienti universitari e negli affari, in una nazione che a furia di fare l’elogio dell’ignoranza si e ridotta a considerare penalizzante avere un titolo di studio.
Ovvio che tutto è spinto al paradosso, lo stile di Sibilia lo sottolinea in ogni inquadratura, con ogni scelta di colore, però le caratterizzazioni dei personaggi sono irresistibili e il lavoro fatto con Edoardo Leo, Valeria Solarino, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero De Rienzo, Stefano Fresi, Lorenzo Lavia, Pietro Sermonti e Neri Marcorè è davvero eccellente. Così come li vedete, truccati da cattivi in pantaloni di pelle e occhiali a specchio, in fondo raccontano parecchio anche di questo paese che spesso, nella scala dei valori, sembra andare all’incontrario.
PRIMA VISIONE Una gran risata sulle ipocrisie di questo Paese in cui i furbi hanno sempre più fortuna e gli onesti sempre meno. Meglio ridere in fondo per i ricercatori diventati ricercati, per i laureati senza lavoro e per quelli costretti ad inventarselo...
© RIPRODUZIONE RISERVATA