La tetralogia di Sokurovsi chiude con il “Faust”

La tetralogia di Sokurov

si chiude con il “Faust”

L’assoluta inedita visionarietà allucinatoria di Aleksander Sokurov irradia il Concorso come altri film, forse anche migliori del suo Faust, non abbiano saputo o potuto fare in questi giorni di festival. Estremo lembo della cosiddetta tetralogia del potere cominciata nel 1999 con Moloch, proseguita nel 2000 e 2005 con Taurus e Sole, Faust al contrario degli altri film dedicati ad Hitler, Stalin e Hirohito, appoggia il proprio assunto ideologico e concettuale sul capolavoro di Goethe. La differenza tra i vari capitoli del progetto sokuroviano è palpabile nella scelta dei personaggi da cinematografare: alle persone veramente esistite ora succede un personaggio della letteratura. Chi però dei quattro ha “realmente” pattuito e giocato la propria anima con il diavolo? Di certo lo smacco faustiano si ritorce contro il medico giocatore. L’espiazione tutta sognatrice di Faust s’infrange contro un mondo che pare respingerlo. Il padre, scienziato lui stesso, lo ammonisce di non dedicare abbastanza tempo alla vita e alla cura degli uomini. Lui è un parolaio, un costruttore di frasi e lo sfinirsi di parole, l’incaponirsi in un dialogo che appare più un monologo è estenuante e allo stesso tempo affascinante. Il suo universo è infiammato da idee, concetti, progetti troppo avanzati per gli uomini e le donne che lo abitano. I miasmi infetti di una società che non riconosce il proprio carico di illusioni e di progresso, nella scienza come nella filosofia, è inconcepibile per l’uomo. Inevitabile pare il suo cadere nella braccia del male: un immondo vecchio dal corpo mostruosamente informe che attira a sé vecchie megere e giovani vergini. Margherita una di queste lo attira a sé e sebbene le abbia procurato il dolore di averle ucciso, con la complicità del demone, il fratello lo trascina in un vorticoso scambio d’amore. La chiusura è ovvia seguito dai suoi fantasmi Faust sembra sfuggire al destino riservatogli dal suo patto con il diavolo. Ma il luogo che sceglie per la fuga è quanto di più matrigno, inospitale, leopardiano si possa immaginare. F. Fr.

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