Enzo Avitabile, un ritratto in musica. Ma prima ancora Napoli e tutti i Sud del mondo. Sempre con i ritmi e le note che li accompagnano. L’omaggio di Jonathan Demme al musicista napoletano, docu-film inserito nella giornata d’apertura della Mostra del cinema, è un’opera complessa che sfugge a catalogazioni affrettate. È uno straordinario film musicale, certo, ed è ovvio un omaggio al musicista di cui si è “innamorato” il regista premio Oscar de “Il silenzio degli innocenti”. Ma prima ancora è un film su Napoli e su tutte le latitudini attraversate dalla musica che Avitabile ha interpretato. Africa, Stati Uniti, Palestina, Balcani, India: strumenti a corda e a fiato restituiscono suoni che diventano immagini di un lungo viaggio che da Napoli, da via Caracciolo o dal quartiere Marianella dove Avitabile è nato, dalla Galleria o dalle stanze del conservatorio, arriva fino a New Orleans e poi molto più in là. Sempre sul filo di un ritmo incessante che sostiene le parole di un dialetto, quello napoletano, che diventa sempre più attuale, sempre più vivo, per cantare di bambini di strada o di conflitti (in apparenza) lontani. Demme, ha raccontato, è stato “folgorato” dalla musica di Enzo Avitabile, un compositore che in questo film rivela delle straordinarie doti che, evidentemente, sono rimaste in qualche modo chiuse entro un confine troppo circoscritto (nonostante i prestigiosi risultati ottenuti). Per questo ha voluto ritrarlo in un documentario che lo segue in sala di incisione, a casa o in una chiesa trasformata in sala da concerto, accompagnato da musicisti altrettanto bravi e interpreti, ognuno, di una cultura differente. Enzo Avitabile suona e racconta, con naturalezza, così come Demme filma accorciando le distanze e mantenendo una chiave di verità che non ha paura ogni tanto di far andare fuori fuoco l’immagine. Le note del musicista napoletano scorrono come il “kieslowskiano” concerto blu e si compongono con quelle di mille altri Paesi, mille altri interpreti. Regista e “attore protagonista” attraversano Napoli fino a tornare al quartiere d’origine, alla periferia nord di Marianella, dove incontrano il primo maestro, la signora che conserva le foto da bambino del musicista oggi famoso come una reliquia, gli amici di infanzia, ristabilendo un contatto che in realtà non si è mai interrotto. La camera a mano entra nelle stanze, interroga, ascolta, raccoglie racconti che possono sembrare folklore, così come “da cartolina” può apparire il ritratto dei luoghi, se visto con uno sguardo troppo affrettato. In realtà conserva una verità profonda, “naturale”, come le parole di Enzo Avitabile che parla della moglie scomparsa o dei primi insegnamenti di musica, delle prestigiose collaborazioni o del sottoscala dove studiava e ascoltava dischi. Un universo senza confini, in cui non esistono coordinate geografiche che non siano quelle che si possono leggere su un pentagramma che circonda il mondo intero.
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