L’Arena di Verona riapre al pubblico con Leo Nucci in “Gianni Schicchi”

Venerdì il grande baritono lodigiano protagonista di un appuntamento dal forte sapore simbolico

L’aveva raccolta prontamente, con la leggerezza di chi non chiude la porta alla possibilità ma nemmeno ne dà chiara conferma. Lo scorso dicembre - otto mesi fa, lontani quanto un’era – in occasione della prima assoluta de “Il Sordo”, l’atto unico scritto da Paolo Marcarini in omaggio ai 250 anni di Beethoven andato in scena al Municipale di Piacenza, avevamo lanciato a Leo Nucci la palla, anche per smentire le voci di un imminente addio alle scene. “Maestro, perché non rispolverare, dal suo sontuoso baule di personaggi, un altro atto unico quale il pucciniano Gianni Schicchi?”. «Perché no? Non lo escludo affatto», ci aveva risposto il baritono lodigiano che, a 78 anni non sembra avere alcuna intenzione di abbassare il sipario di una carriera che ormai può ben dirsi leggendaria.

Detto fatto. Venerdì sera all’Arena di Verona, l’arguzia raffinata e corrosiva del fiorentino capace di gabbare l’avida aristocrazia mercantile cittadina soffiando, con una beffa da manuale, l’eredità di Buoso Donati alle grinfie dei parenti, ritroverà la tinta, la caratterizzazione e il graffio di uno dei suoi interpreti più autorevoli di sempre. Una rappresentazione in forma semi scenica, come si conviene alle disposizioni che nella vita così come nell’arte impongono il distanziamento sociale, che lo stesso Nucci ha curato nell’ideazione e realizzazione, seguendo ormai quel secondo filone creativo che da anni lo vede felicemente impegnato anche in veste di regista, quasi a chiudere il cerchio di una fedeltà senza riserve alla pagina e alle sue ragioni. In buca, alla testa dell’Orchestra dell’Arena, la conduzione è affidata alla salda esperienza del pur giovane Francesco Ivan Ciampa, chiamato a dirigere un cast interamente italiano che rappresenta un perfetto amalgama di esperienza e freschezza.

Il contesto è quello di un Festival estivo snudato della sua parte più proverbialmente spettacolare. Niente faraonici allestimenti, niente colpo d’occhio sugli spalti gremiti: capienza ridotta, palcoscenico centrale con il pubblico attorno. Un necessario passo indietro rispetto alla programmazione consueta e, al tempo, un atto di eroica resistenza alla crisi che, a seguito dei tragici mesi di dilagante pandemia, ha messo in ginocchio anche il comparto dell’arte e della musica. «Questo Festival è il simbolo della rinascita della nostra città, della musica e della cultura», ha detto Federico Sboarina, sindaco di Verona.

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