L’INTERVISTA Fabrizio Gatti: «Così cambiano le popolazioni dentro le frontiere»

Il giornalista e scrittore sarà protagonista domani sera (alle 21) in sala Rivolta a Lodi

«Da vent’anni l’Italia e l’Europa dibattono sulla questione dell’apertura o chiusura delle frontiere, trascurando la demografia. Ma stiamo invecchiando, è un fatto: non siamo in grado di fare nascere e crescere i giovani. E senza abitanti una democrazia muore». È intorno a questa riflessione che Fabrizio Gatti, oggi direttore editoriale di Today.it e autore di inchieste e reportage, ha ideato la serata “Chi abiterà l’Italia dopo di noi”, in programma venerdì sera alle 21 in sala Rivolta in occasione della Giornata mondiale del rifugiato.

In vista dell’evento – organizzato da sportello Sai (servizio accoglienza immigrati) del Comune di Lodi, Umanità lodigiana, associazione Progetto Insieme e libreria Sommaruga, abbiamo intervistato Gatti per approfondire le tematiche e le storie che presenterà a Lodi e di cui è stato testimone diretto. Non si tratta peraltro del primo incontro tra il nostro quotidiano e il giornalista: nel novembre 2022, infatti, Fabrizio Gatti aveva presentato in redazione il suo libro “L’infinito errore. La storia segreta di una pandemia che si doveva evitare” (La nave di Teseo), frutto della sua indagine sull’origine del Coronavirus.

L’inverno demografico è un argomento che si sta progressivamente facendo strada nel dibattito pubblico. Ma quanta consapevolezza c’è effettivamente sull’argomento?

«Quando propongo questo viaggio noto molto stupore nel pubblico: non c’è la consapevolezza di come sarà l’Italia tra 15-20 anni. Mentre la politica discuteva se chiudere o meno la frontiera si è trascurato quello che stava succedendo dentro le frontiere. Oggi gli imprenditori, anche quelli della provincia di Lodi, non trovano personale: venerdì sera mi piacerebbe poter dialogare con loro, che si trovano in mezzo a questa situazione, in quello che è anche un impoverimento non solo demografico ma anche economico».

Nel corso della serata leggerà alcuni episodi di due suoi libri: “Bilal” (La Nave di Teseo), in cui ripercorre la sua esperienza in Africa, nella quale, fingendosi migrante, ha potuto sperimentare in prima persona la drammaticità dei destini dei migranti che cercano di attraversare il Mediterraneo, e “Nato sul confine”, dove la voce narrante è quella di un bambino siriano non ancora nato che racconta la storia della sua famiglia. Perché questa scelta narrativa?

«Perché quella di Mabruk, che aspetta di venire al mondo, è la voce più pura, che racconta una storia identica alle nostre. I suoi genitori, infatti, sono dei medici di Aleppo che, con lo scoppio della guerra in Siria, si trovano in prima linea, un po’ come è successo, mutatis mutandis, a Lodi con la pandemia. Loro vorrebbero rimanere, ma ricevono pressioni dalle varie fazioni in lotta per non curare i feriti. Da questa storia, ispirata a quella vera di una famiglia siriana, emerge il paradosso che è a monte del viaggio di ogni rifugiato: scappare da un pericolo senza godere di nessuna protezione internazionale durante il percorso».

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