L’INTERVISTA La “bottega Bertoli” apre in piazza Vittoria: e il vento soffia ancora…

Alberto, figlio d’arte, in scena venerdì sera a Lodi

La “bottega Bertoli” apre in piazza della Vittoria. Venerdì sera (ore 21.30), nell’ambito di Lodi al sole, il quadrilatero cittadino ospiterà il concerto di Alberto Bertoli, figlio del compianto Pierangelo, uno dei numi tutelari del cantautorato italiano. «Ma sarà un’esibizione molto più rock rispetto allo spettacolo che presentiamo nei teatri – racconta Alberto Bertoli, classe 1980, alle spalle una feconda carriera solista e diversi omaggi all’arte del padre -. La “bottega Bertoli” è aperta dall’inizio degli anni Settanta: è come un ristorante di famiglia, in cui proponiamo piatti della tradizione e piatti nuovi. Canzoni di mio papà, canzoni mie e 2-3 brani da riscoprire. Ci divertiremo: sono convinto che si possano lanciare messaggi importanti senza per forza tediare le persone».

Come diversi colleghi, penso a Paolo Jannacci, Filippo Graziani e Cristiano De André, porti avanti anche la memoria di tuo padre. Come hai vissuto il fatto di essere figlio d’arte?

«C’è una differenza sostanziale tra me e gli altri: gli artisti, bravissimi, che hai citato, fanno soprattutto tributi. Io invece tengo aperta la bottega che resiste dal 1970, ma che ha cambiato proprietario per cause di forza maggiore. Io sono nato che mio padre era già famoso e disabile: tutto ciò non mi ha comportato perdite o incassi. Perché ho vissuto la storia come un semplice figlio che ha condiviso la “normalità” della sua famiglia. Una normalità che per noi significava uscire a cena in un ristorante dove non ci fossero gradini; o andare a mangiare un gelato in un posto senza barriere architettoniche».

Leggendo la tua biografia, emerge il rapporto molto forte con tuo padre. Cosa hai preso da lui?

«La positività. Di solito i cantautori, soprattutto negli anni Settanta, erano piuttosto pessimisti e tristi: mio padre, invece, non era triste per niente. Il tema principale delle sue canzoni è la speranza, c’è sempre una nota positiva. Nel ritornello, spesso, arriva il ribaltamento di prospettiva, il lato positivo: “Eppure il vento soffia ancora…”».

E in cosa sei diverso, caratterialmente e musicalmente parlando?

«Io sono decisamente più casinista, più “rocker”, lui era molto più posato. Bisogna considerare anche il contento storico: lui era un uomo degli anni Quaranta, io sono nato a inizio anni Ottanta».

C’è una canzone di tuo papà che, in qualche modo, senti particolarmente tua?

«Uno si aspetterebbe un brano “minore”, invece la canzone che sento più mia è una delle più famose, “A muso duro”. Il testo descrive perfettamente chi era mio padre e ciò che ha insegnato ai suoi figli. Le parole rispecchiano la sua sincerità: e c’è dentro anche tutta la sua forza».

Progetti per il futuro?

«Ho già raccolto una trentina di pezzi nuovi. Il materiale c’è. Mi piacerebbe trovare qualche ospite importante prima di incidere il disco. Intanto suoniamo dal vivo, la parte più bella di questo mestiere».n

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