L’INTERVISTA La montagna incantata di Paolo Cognetti: «La realtà è più bella della fantasia»
Lo scrittore racconta il suo rapporto con la vetta e com’è nato il suo romanzo Premio Strega
“Le otto montagne”, il film tratto dal suo romanzo (Premio Strega 2017), è in questi giorni nelle sale cinematografiche; con lui, Paolo Cognetti, abbiamo parlato del film, dei suoi libri, della vita divisa tra la dimensione metropolitana e quella di una baita a duemila metri di quota.
Cominciamo dal film. Che rapporto c’è tra il libro e la sua trasposizione? Ha preso parte alla sceneggiatura?
«Trovo che il film sia bellissimo. Non ho partecipato direttamente alla sceneggiatura, ma ho preso parte a tutte le fasi della costruzione del film: ho accompagnato i due registi, gli attori e i tecnici a conoscere un mondo che prima non conoscevano, quello delle mie montagne; ho fatto un po’ da mediatore culturale tra loro e i luoghi e le persone che ho descritto nel libro».
Il protagonista, Luca Marinelli, è il suo alter ego nel film. Che rapporto c’è stato con lui?
«È venuto a stare da me per diverso tempo per conoscerci meglio. Il rapporto che si è creato è stato uno dei regali più belli di questo film».
Anche gli altri personaggi del romanzo sono ispirati a persone reali. Come costruisce i suoi personaggi?
«Non ho mai inventato un personaggio, non saprei neanche come si fa. Il fatto è che la realtà è molto più bella della fantasia. Quindi metto sempre in scena le persone che conosco; così fa parte della mia esperienza il rapporto tra padre e figlio, come quello di amicizia tra Pietro e Bruno, i due protagonisti. Poi nella scrittura tutto viene trasfigurato, un po’ come accade nei sogni, che partono sempre da esperienze reali, ma diventano altro».
Nei suoi libri, anche nell’ultimo “La felicità del lupo” si incontrano spesso personaggi che fuggono: dalla città, da una relazione, da una vita che non li soddisfa.
«Direi che sono piuttosto personaggi che cercano; cercano una forma della loro felicità. Per poi magari ripartire per un’altra meta».
La sua scelta di vivere in un piccolissimo paesino di montagna in Valle d’Aosta corrisponde a un carattere solitario?
«Molti pensano che chi sceglie di vivere in montagna sia un amante della solitudine. Io non sono affatto un solitario, mi piace avere amici attorno a me, stare in compagnia. E poi c’è l’altra metà della mia vita. Io sono nato a Milano e ho vissuto dieci anni a New York, amo molto viaggiare, metà della mia vita la passo in quest’altra dimensione, e anche quella metà lì è bella. Sono due parti che si nutrono a vicenda».
Nei suoi romanzi c’è molta attenzione per la natura. Lei pensa che la natura abbia qualche possibilità di salvarsi?
«La Terra si salverà di sicuro dall’uomo. L’uomo si autodistruggerà, e la Terra ci metterà un po’ a dimenticarsi di noi, poi tornerà bellissima, come è sempre stata. Il fatto è che l’uomo non sta facendo male alla Terra, sta facendo male a se stesso. E quando noi, assetati e surriscaldati ci saremo estinti, la Terra ricomincerà a fiorire».
Questa prospettiva non la angoscia?
«Non sono particolarmente affezionato al genere umano. Lo vedo come un parassita del pianeta, la sua scomparsa non è una prospettiva che mi angoscia, anzi la trovo molto liberatoria».
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