La storia siamo noi, nessuno si senta escluso: nei piccoli e nei grandi gesti quotidiani. C’è chi russa ancora e chi guarda il mondo dalla cupola di una navicella spaziale. Chi fa il pane, chi stampa i giornali, chi guida il camion: il 26 ottobre 2013, come ogni altro giorno dell’anno, in Italia. Un giorno qualunque e “straordinario” proprio perché esattamente normale, uguale a tutti gli altri. Approda questa sera in prima visione in tv (su Rai 3 alle 21.30, dopo esser stato distribuito questa settimana in alcune sale cinematografiche) Italy in a day, il progetto di cinema collettivo coordinato e diretto da Gabriele Salvatores, nato sulla scia del prototipo prodotto da Ridley Scott.
L’idea è semplice e proprio per questo “grande”: portare sullo schermo i contributi video inviati dagli italiani che hanno risposto a un appello lanciato dal regista premio Oscar un anno fa. Con un invito scarno: girare spezzoni di vita comune, senza un tema particolare o un filo conduttore, con la sola condizione che fossero rappresentativi di chi stava dietro la videocamera. L’obiettivo: raccontare un paese intero così com’è, senza filtri e senza condizionamenti (se non quelli del montaggio cinematografico e, prima ancora, della scelta degli spezzoni).
Quello che ne viene fuori è un ritratto suggestivo, a tratti commovente, nei momenti migliori sincero ed emozionante: un documentario con 44mila firme che, alla fine, riesce a raggiungere lo scopo che si era dato. Dentro Italy in a day c’è molta vita, ci sono giornate di persone qualsiasi e momenti di personaggi eccezionali (e qualche volta le due cose coincidono o si ribaltano): c’è l’astronauta italiano Luca Parmitano che si è svegliato, quel 26 ottobre, a bordo della stazione spaziale e c’è chi è ancora a letto nella sua casa alla periferia di Roma. Vicini, in qualche maniera, uguali perché entrambi parte di questa giornata qualunque, pezzi del mosaico che si compone con dentro tutti noi. Ci sono i bambini che vanno a scuola e altri che vengono “salvati” dal dottor Alessandro Frigiola, cardiologo dell’ospedale di San Donato che racconta l’esperienza di medico che opera chi non ha possibilità di farsi curare, con l’Associazione bambini cardiopatici nel mondo: la sua è una delle testimonianze più toccanti all’interno del film: «Più vite salvo e più ha valore la mia di vita»...
La vita appunto: Salvatores la insegue come un nuovo «uomo con la macchina da presa», guardando dentro le case, nelle strade, montando i video che gli sono arrivati (oltre 2200 ore di immagini) in cui si raccontano le paure, le gioie, le passioni. O i ricordi di una madre che si stanno perdendo. Nelle immagini c’è uno spaccato di Storia d’Italia ai nostri giorni, che è anche la testimonianza di una trasformazione, resa possibile dalla diffusione di digitale e videocamere. Ma non pensate al Paese che si fa un banale autoscatto per bisogno di affermarsi, che si riprende per sentirsi vivo attraverso lo schermo. Non fatevi ingannare, non c’è la smania di apparire mettendo sullo sfondo un panorama o una faccia famosa. Non è questa la spinta che ha mosso chi ha mandato i contributi (almeno quelli che si vedono sullo schermo). Soprattutto non è questa smania che ha assecondato chi quei contributi li ha selezionati e poi montati: per Salvatores e per la produzione la priorità era filmare il particolare per arrivare al generale, alla panoramica che contenesse il più possibile vita e verità. Obiettivo centrato.
C’è anche la storia del dottor Frigiola fra quelle del film “collettivo” in onda sabato in prima serata su Rai3, che arriva in tv pochi giorni dopo l’uscita nelle sale...
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