«Tu non sei di questo pianeta e non sarai mai come gli altri». Non sarai mai considerato «normale».
Prima di ogni altra battaglia contro mostruosi nemici alieni, è stata una lotta per affermare la propria diversità quella a cui è stato costretto Superman. O almeno così immagina sia stato Zack Snyder che dirige , «L’uomo d’acciaio», nuovo episodio della saga a fumetti della DC Comics. Una sorta di «prequel» che fa un passo indietro all’origine della storia e la riattualizza secondo canoni più moderni.
Su Kripton hanno gli stessi problemi di noi umani: le risorse sono state sfruttate senza criterio portando alla distruzione il pianeta, e il neonato supereroe (che ha un nome e un destino biblico) è inviato dentro una cesta sulla terra mentre la sua famiglia viene distrutta.
Così prende le mosse questo «reboot», un episodio aggiunto che va a scavare nel passato del personaggio, tracciando traiettorie che i puristi della serie a fumetti creata da Jerry Siegel e Joe Shuster non accetteranno di buon grado. In verità la fortuna del personaggio al cinema non è mai stata grande, nemmeno paragonabile a quella «sulla carta» e anche gli interpreti di Superman hanno dovuto scontare destini avversi (lo raccontava ad esempio benissimo «Hollywoodland» dedicato alla storia di George Reeves, che indossò costume e mantello al cinema e soprattutto nella più nota serie televisiva americana).
In questo film un lungo prologo mette insieme costumi di Star Wars e colori della saga dell’anello, senza però averne da subito il mistero, per raccontare la «fuga» sulla terra del supereroe che per i meno giovani ancora si chiama Nembo kid, ma presto si capisce che questa volta la chiave del racconto sarà un’altra. Gli sceneggiatori si sono concentrati sulla solitudine del supereroe, sui tormenti e i dubbi dell’alieno messo a confronto con un mondo che ha paura del diverso e di ciò che non capisce (anche quando questo gli salva la vita).
Manipolazioni genetiche sugli embrioni, catastrofi naturali, caccia al diverso: «L’uomo d’acciaio» (che a tratti mette anche vagamente in discussione un’idea positiva dell’evoluzione) sceglie sin dal principio un approccio serioso, intimista, concentrato sul dramma del superuomo, a discapito del fascino anche «ingenuo» del fumetto. Ma spiega troppo ogni cosa e, paradossalmente, non ha sfumature: alterna l’azione e gli scontri tra astronavi ai riflessi «malickiani» usati per raccontare il rapporto con il padre terreno, che resta comunque l’aspetto più suggestivo, per l’umanizzazione del supereroe e il suo bisogno di riconoscere a tutti i costi una casa e dei genitori.
È evidente quale sia l’obiettivo degli autori (tra le firme del soggetto c’è anche quella di Christopher Nolan...): rianimare il personaggio attraverso una nuova lettura carica di significati vicini alla sensibilità del pubblico d’oggi. Con l’aiuto anche di un cast importante (ma questa non è cosa nuova se si pensa che persino Marlon Brando è stato un «padre» di Superman in un episodio non memorabile della sua filmografia). Qui, oltre a Henry Cavill nella parte del protagonista, ci sono Amy Adams (Lois Lane), Russell Crowe (il padre naturale), Kevin Costner e Diane Lane (genitori adottivi) oltre a un cattivo Michael Shannon e un perfetto e somigliantissimo Laurence Fishburne nella parte del direttore Perry White.
L’esito è però alterno e la pellicola fatica a trovare un equilibrio tra i due registri, quello spettacolare di pura fantascienza e quello più intimo. Con il risultato di trasmettere solo di rado emozioni sincere che invece dovrebbero essere l’anello principale a cui far aggrappare le vicende di tutti i protagonisti. Che a questo punto, è facile immaginarlo, sono attesi da una nuova «puntata».
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