Mindhunter

SIAMO SERIAL A caccia di serial killer: continua il nostro viaggio nell’universo delle serie tv

Sono nati criminali o lo sono diventati? In fondo, di fronte ai delitti più efferati, ce lo siamo chiesto tutti. Cosa spinge un essere umano a uccidere un’altra persona? O, per dirla con i detective dell’Fbi Ford e Tench, “come possiamo anticipare dei pazzi se non sappiamo come ragionano i pazzi?”.

Ed è così che nasce Mindhunter, la serie tv Netflix che ha da poco presentato la seconda stagione e che racconta come negli anni Settanta i due detective abbiano iniziato a studiare i serial killer, mostrando come si è arrivati alla loro “profilazione”, il metodo d’indagine che permette di costruire il profilo degli assassini.

Ideata da Joe Penhall, la serie tv si basa sul libro Mindhunter: La storia vera del primo cacciatore di serial killer americano (Mind Hunter: Inside FBI’s Elite Serial Crime Unit).

I protagonisti sono due agenti dell’Fbi, Bill Tench (Holt McCallany) e Holden Ford (Jonathan Groff), i poliziotti che hanno creato un nuovo modo d’investigare. Come? Decidendo di incontrare alcuni dei criminali più pericolosi d’America, colpevoli di più omicidi (da Ed Kemper a Charles Manson), intervistandoli in prigione e registrando il contenuto dei loro colloqui.

C’è un altro personaggio che fa parte della squadra, la professoressa di psicologia Wendy Carr (Anna Torv), la quale, in modo analitico, si occupa della catalogazione dei profili e della definizione delle domande da sottoporre agli assassini durante le interviste: “Gli psicopatici sono convinti che non ci sia nulla di male in loro, ma voi avete trovato il modo per studiarli”.

In quegli anni la parola serial killer non esisteva (è nata proprio dalle ricerche di questa unità speciale e, almeno inizialmente, persino poco considerata), così come non esisteva una procedura da utilizzare per parlare con queste persone. Nella maggior parte delle puntate si assiste così al “faccia a faccia” tra i detective e i criminali, entrambi protagonisti “alla pari” nella serie tv. Perché se da una parte s’indaga l’orrore, dall’altra ci si concentra sul lavoro degli agenti, senza dimenticare le pesanti ripercussioni che l’attività può avere sulla loro stabilità emotiva.

Le violenze non sono mostrate, solo raccontate, tranne qualche eccezione. Nel complesso, non si sbaglia niente: inquadrature, musiche, fotografia, tutto è studiato al dettaglio. È una serie tv che fa scuola, insomma, ma non è consigliata per chi vuole semplicemente una serata di relax

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