Così va in frantumi il sogno di un “nuovo americano”. Un pakistano a New York, trasformato il un “perfetto soldato dell’esercito del profitto e del successo”, educato nelle migliori università degli Stati Uniti, che diventa “un assassino fatto in casa”, la peggiore minaccia per la società che lo ha allevato. È un inizio politico, che fa un salto indietro a 11 anni fa, al 2001 (quando direttore era Alberto Barbera prima di questo suo secondo mandato), quello scelto per la 69esima Mostra del cinema di Venezia, inaugurata ieri sera da The reluctant fundamentalist di Mira Nair. Un film “post 11 settembre” che può sembrare fuori tempo ma che invece è attualissimo, tratto dal romanzo bestseller di Mohsin Hamid che sposta la prospettiva raccontando gli Stati Uniti, il Pakistan, il terrorismo fondamentalista da un altro punto di vista, che si ribalta nel confronto tra il protagonista Changez, giovane pakistano di seconda generazione in America, e il suo “opposto”, l’agente Cia che lo va a stanare dopo il suo sofferto ritorno in patria, una volta che questo ha abbandonato l’abito che gli era stato cucito addosso a Wall Street.
Va in pezzi dopo l’11 settembre il sogno americano di Changez, dopo le esplosioni alle Torri Gemelle quando qualcosa si incrina nella sua granitica volontà, quando da perfetto figlio della società che ha invidiato si trasforma in un nemico giurato della stessa. Mira Nair cerca di spiegare l’istante in cui tutto questo accade, il momento in cui il “Paese delle opportunità” si trasforma in una gabbia per questi suoi nuovi figli, tornati in un istante stranieri nonostante lavorino, abitino, amino gli stessi uffici, le stesse case, le stesse donne. Nonostante abbiano difeso “l’educazione americana” come e più dei padri fondatori.
Changez ha un padre poeta e tradizionalista ma guarda con rabbia ai nuovi ricchi, agli stranieri che con meno scrupoli stanno “invadendo” l’America, e comprando con il denaro quello che lui sognava di conquistare con il merito. Ecco perché si impegna il doppio, lotta con tutte le sue forze per primeggiare all’università e negli uffici dei colossi finanziari che lo studiano e lo valutano prima di accoglierlo nella loro “famiglia”. «Sono diventato un perfetto soldato di quell’esercito» rifletterà Changez, dieci anni dopo raccontando la sua storia all’agente americano che lo andrà a cercare in Pakistan. Siamo nel 2011 e un professore americano è appena stato rapito; gli agenti della Cia nel Paese sono alla ricerca di indizi e il giovane professore pakistano educato nelle migliori università americane, che fa lezioni educando all’orgoglio nazionale e inneggiando a una rinnovata presa di coscienza, è il primo obiettivo da scandagliare.
La storia fa così un passo indietro, nel colloquio tra i due, ripercorrendo i passi di Changez, prima del “ritorno a casa”. È un film sul confronto tra due mondi The reluctant fundamentalist, il tentativo di leggere la crisi tra Occidente e Oriente aprendo un dialogo, mettendo davanti allo specchio gli opposti, per farli dialogare. Mira Nair mostra le ragioni dell’uno e dell’altra, i rispettivi odi, prova a dare una chiave di lettura quando mostra la reazione naturale ma spropositata che si scatena negli Stati Uniti subito dopo gli attentati dell’11 settembre e che contribuisce ad allargare la frattura che ormai si è aperta di nuovo tra i due mondi. Racconta bene come sia il miglior “prodotto” della cultura americana, quello cresciuto nel suo mito di progresso ed efficienza, il primo anello debole, quello che si ribella alle leggi che ha venerato e rispettato.
È bello il doppio piano costruito sul dialogo, sul confronto tra i due personaggi che hanno fatto il cammino inverso e funziona la “circolarità” della storia, dove tutto si ripete all’infinito, come per i Giannizzeri, bambini soldato rapiti e poi mandati a combattere il proprio Paese, evocati a un certo punto da uno dei personaggi a Istanbul. Non è un caso che proprio in questa terra di confine tra le due culture, quella occidentale e quella musulmana, si compia tutto, si chiuda il cerchio per Changez, che vede finalmente chiaro quale sia il posto dove stare, la casa verso cui tornare.
Lucio D’Auria
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