La presentazione di un volume di ricerche storiche può diventare un’esperienza singolare, se l’evento è ambientato nel cortile del carcere di cui il volume stesso parla. Il pubblico, lasciati i documenti all’entrata, deve passare attraverso porte metalliche che si aprono e poi si chiudono alle spalle, percorrere corridoi e scale, guidato da gentili guardie carcerarie fino nel cuore dell’edificio che, di solito, si osserva solo dall’esterno. E dentro, nel cortile della Cagnola, è un’“ora d’aria” molto speciale quella che ha consentito ai detenuti, accanto al pubblico esterno, di assistere alla presentazione del libro di Ercole Ongaro Vite nel cono d’ombra della storia (n. 28 dei Quaderni ILSRECO), che ricostruisce la storia del carcere di Lodi tra Ottocento e prima metà del Novecento. Lunghe e approfondite ricerche d’archivio hanno portato lo studioso lodigiano a rintracciare notizie anche inedite (per esempio sugli arresti in seguito allo sciopero agricolo del 1949) sulle condizioni di vita prima nella vecchia struttura collocata in piazza Mercato, poi, dal 1912, nell’attuale edificio: una struttura più dignitosa, che (come annotava il cronista di un giornale locale), «cancella l’antica vergogna del carcere di piazza Broletto, ma resta il dolore, che è passato dalla casa vecchia alla casa nuova». Dalla conversazione di Ongaro con la giornalista de «Il Cittadino» Caterina Belloni (cui si sono alternate letture dell’attore Fabrizio De Giovanni) emerge soprattutto il multiforme universo di storie affiorate dagli archivi, dai registri, dalle lettere che i detenuti ricevevano e inviavano ai familiari. Sono tante le storie curiose, o tristi, come quella del diciottenne Mario Pesatori, incarcerato con l’accusa di aver ucciso il suo padre naturale; il suo carteggio con la madre, dice Ongaro, «è una testimonianza straziante della sofferenza di un innocente punito ingiustamente». Altri dati aprono la storiografia locale a realtà non indagate prima: per esempio quella drammatica dell’aborto clandestino, o il fenomeno della violenza sessuale e della pedofilia; o, ancora, dai documenti sugli arresti per il reato di adulterio emerge una realtà che sembra lontana anni luce da quella di oggi; e invece è passato meno di un secolo. Ma, al di là delle singole storie, ciò che importa di più per lo storico, conclude Ongaro, è «non solo dire le cose, ma far capire perché le cose sono successe; in questo modo esse ricevono una luce che ce le fa comprendere, e quindi accettare». È la stessa conclusione ribadita dalla direttrice del carcere, Stefania Mussio, che nel libro ha apprezzato «il desiderio di indagare a fondo, di non fermarsi alla superficie, in modo da aprire l’orizzonte e capire l’oggi attraverso la comprensione della storia». Di questa lunga ricerca, che lo ha portato a contatto con la realtà del carcere, Ongaro ricorda con particolare piacere l’incontro con la redazione del giornale «Uomini liberi»: «Persone serie, interessate, desiderose di conoscere: è un bel ricordo che mi resterà».
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