Ongaro e l’eccidio di Pasqua ’45: un’opera per non dimenticare
Sabato a Caselle Landi la presentazione del “quaderno” dell’Ilsreco che ricostruisce i fatti della cascina Punte Alte
«A vent’anni la vita è oltre il ponte» scriveva Italo Calvino, in una canzone musicata da Sergio Liberovici. Silvano Campagnoli, bracciante agricolo quasi diciottenne, ucciso nel giorno di Pasqua del 1945, può essere raccontato così, con quell’inquietudine giovanile che porta - per sua natura - a non sopportare di buon grado ordini e gerarchie. Per Silvano il «ponte» da superare era quello del Po, per unirsi ai partigiani della Val d’Arda. L’incauta decisione di tornare per il pranzo di Pasqua costò la vita a lui e ad altri quattro innocenti. A raccontare la tragica storia di questo giovane, perno intorno al quale ruota l’eccidio della cascina Punte Alte, è Ercole Ongaro, per il 34esimo quaderno dell’Ilsreco (Istituto lodigiano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea). Opera che sarà presentata domani pomeriggio (ore 16) a Caselle Landi presso la piazza del comune (oltre all’autore saranno presenti il sindaco Piero Luigi Bianchi, Pasquale Bolzoni dell’Anpi Grande Fiume con Gianni D’Amo a coordinare l’incontro).
Lo storico lodigiano, direttore scientifico dell’istituto, in questo saggio ricostruisce la storia e le vicende di un piccolo paese in riva al Po, Caselle Landi, durante la seconda guerra mondiale. L’inquadramento storico-culturale, come sempre tracciato con assoluta precisione, è indispensabile per contestualizzare la strage di Pasqua, ad opera delle milizie fasciste. Tramite lettere, comunicati ufficiali del regime, diari dei preti di campagna, Ongaro riesce a far immergere il lettore nella dura quotidianità di quegli anni, prima di arrivare a quel tragico evento dell’aprile ’45, degno delle pagine di Beppe Fenoglio. Silvano Campagnoli, giovane partigiano, viene visto rientrare a casa dai militi fascisti, che si appostano in gran numero fuori dalla cascina, dove la famiglia di Silvano lavorava, alle dipendenze del fittabile Luigi Losi. Il capitano Alessandro Midali dirige con orrenda brutalità le operazioni di quel pomeriggio di sangue: Silvano finisce crivellato sull’aia, il fratello quindicenne Lino viene ferito e poi fucilato, mentre al disperato dolore dei genitori - Pietro Campagnoli e Teresa Berselli, gravida all’ottavo mese - i fascisti rispondono con le armi, fracassando in ultimo la testa di Teresa con il calcio del fucile. Si spense così anche la vita nascente che Teresa portava in grembo. Il fittabile Losi, in precedenza fuggito dalla cascina per mettersi in salvo insieme alla famiglia, decide di tornare: questa mossa gli costò la fucilazione, dietro la pretestuosa accusa di aver aiutato il giovane partigiano. L’amnistia Togliatti ridusse drasticamente le pene alle quali i militi fascisti erano stati condannati prima dalla corte d’assise straordinaria di Lodi e poi in via definitiva: alcuni di loro si diedero alla macchia, dimostrando ancora una volta ben poco onore e coraggio. A scontare la pena più elevata fu Midali: solamente nove anni. A corredo del saggio storico sono presenti numerose foto, tra le quali non poteva mancare quella del giovane Silvano: un ragazzo dalle orecchie a sventola che sorride, con fare scherzoso.
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