Da Hitler a Roberto Benigni, da Israele a George Bush, dal palco del Carlo Rossi alla chiacchierata in esclusiva con «il Cittadino»: Moni Ovadia è un fiume in piena. Il poliedrico intellettuale ha tenuto martedì pomeriggio un’appassionata serata al teatro Comunale di Casalpusterlengo, in cui ha presentato il suo ultimo libro, Il Coniglio di Hitler e il Cilindro del Demagogo . Il libro, come ha ben spiegato nell’incontro con il pubblico casalese, è un pamphlet, un’invettiva nei confronti della società occidentale, «che è sempre buona e giusta per definizione, ma in realtà ha fatto tanto male e continua a farlo».
Lo spunto è proprio quello di Hitler: «Per dipingere una persona come il male assoluto, lo paragonano a Hitler. Hanno fatto così con Saddam Hussein, uno spregevole criminale, ma totalmente diverso da Hitler. Con questa scusa ci propinano la guerra umanitaria: non esistono guerre umanitarie. L’Occidente distrugge i dittatori solo quando sono loro ostili, come ha fatto in Iraq o in Libia: paesi che a oggi sono un inferno. Stiamo diffondendo l’inferno nel mondo» ha scandito con grande passione Ovadia.
La guerra non può essere umanitaria, anche perché la maggior parte delle vittime, nella guerra contemporanea, sono sempre i civili: «Dobbiamo smetterla con la retorica e la falsa coscienza: queste sono guerre costruite per destabilizzare, per arricchire i potentati e a pagare sono sempre i poveracci. Io sono un ribelle – ha proseguito -. Non accetto quando mi si dice che una cosa è zuppa o pan bagnato: ribellarsi è giusto, e quello che io dico non sono complottismi, non è dietrologia, è tutto da vedere». Secondo Ovadia, però, l’unico a denunciare queste cose è stato Papa Francesco: «Francesco è l’unico leader degno di questo nome, e più volte ha parlato di una Terza Guerra Mondiale combattuta a pezzi».
Hitler, secondo Ovadia, poteva essere fermato anche prima, ma ha potuto fare ciò che ha fatto grazie all’indifferenza delle persone normali e degli Stati a cui tornava comodo per arginare il potere sovietico: «Guardate cosa è accaduto in Danimarca o Bielorussia: nessun ebreo è stato deportato, perché non c’era la complicità del popolo. In Italia non è stato così. La favola degli “italiani brava gente” è falsa: in Italia ci sono state e ci sono tante brave persone, ma non sono brave persone in quanto italiani. Dobbiamo smettere di raccontarci favole, e fare i conti con noi stessi, come hanno fatto i tedeschi, che ora sono una delle migliori democrazie, perché hanno capito il male che hanno fatto, non tanto agli ebrei, quanto a se stessi. Questa è la ferita più grave». Ovadia ha riservato pesanti critiche anche allo stato di Israele: «In quanto ebreo, mi fa male dire queste cose, ma gli israeliani prendono come una giustificazione l’aver subito la Shoah, e ne approfittano per opprimere in modo terribile un altro popolo, quello palestinese». Nonostante la sua critica agli ebrei israeliani, nonostante il suo ateismo, Ovadia rimane un figlio della cultura ebraica, che ripropone sia nella sua tensione spirituale, sia nel suo umorismo, che è un filo conduttore di molti suoi libri.
«Non sono uno scrittore - ha però detto Ovadia nella conversazione a quattr’occhi con «il Cittadino» -. L’ho detto al mio amico Claudio Magris. Sono semplicemente uno che scrive». Fuori dal palco, Moni Ovadia prende un tono di voce più tranquillo, senza abbandonare però la fermezza delle proprie convinzioni che esprime con serenità. Nella biblioteca di Casale, ha incontrato diverse persone e visitato la mostra dei quadri Arduino Quintini, che gli ha donato una delle sue opere. Dopodiché, seduto su una poltroncina, ha parlato della sua vita, della sua formazione ebraica e marxista, della sua laicità che non gli impediscono di citare David Turoldo, o di parlare dei comandamenti: «In ebraico non sono i comandamenti, ma sono la “parola”. Perché a mio parere, la religione non dovrebbe comandare, imporre, ma lasciare la libertà all’uomo».
L’uomo che nasce ontologicamente libero: «In tutto il mondo ci sono solo Homo Sapiens Sapiens, non ci sono persone superiori e inferiori, tutti nascono con la propria dignità. Ed è questa dignità che deve essere difesa dalle costituzioni, che deve essere alla base della società».
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