Paolo Gorini che non smette di affascinare

Le leggende e gli aneddoti, in città, si sprecano: si racconta di un tavolo fatto con quattro gambe umane, oppure della mummia che, attivata con un marchingegno, apriva la porta ai rari ospiti del suo macabro studio: per raccontare Paolo Gorini, bisogna tenere conto anche di tutte le storie, più o meno vere, che nei secoli si sono costruite intorno al suo personaggio, al limite tra scienza e magia. «Lui è si è guadagnato meritatamente il nome di “mago di Lodi”» ha esordito Luigi Garlaschelli, ricercatore del dipartimento di Chimica organica dell’Università di Pavia, che venerdì sera, nei locali del museo di via Bassi, ha ripercorso la storia dei «pietrificatori» che hanno vissuto a cavallo tra settecento e ottocento Tra loro viene annoverato anche Paolo Gorini: «Non fu certo il primo o il più grande, ma sicuramente è una delle figure più affascinanti: matematico di professione, era ossessionato dall’orrore per la putrefazione, tanto che ha fatto di tutto per trovare un modo scientifico di conservazione dei cadaveri, ed è stato chiamato anche a pietrificare il corpo di Mazzini, simbolo repubblicano» ha raccontato Garlaschelli.

Ad invitarlo a Lodi è stata l’associazione Scientificast, che è nata con l’obiettivo di fare divulgazione scientifica in modo tanto rigoroso quanto accattivante.

Completamente vestito di nero, infatti, il relatore non ha mancato di disporre un teschio e un candelabro sul tavolo, a creare la giusta atmosfera per parlare di un argomento così macabro.

Dal napoletano Raimondo di Sangro, scienziato, inventore e massone, fino a Girolamo Segato: Garlaschelli ha fatto una panoramica dei «pietrificatori di cadaveri», mostrando diapositive dei loro esperimenti e ripercorrendo le loro storie, che spesso oscillano tra leggenda e realtà. «Scienza, anatomia, a tratti alchimia: questi personaggi erano ai margini del mondo accademico, e ancora oggi sono in gran parte avvolti nel mistero, proprio perché si sono portati il proprio segreto nella tomba» ha spiegato Garlaschelli, alludendo al fatto che, anche per il nostro Gorini, non si conosce con esattezza la «ricetta» utilizzata per pietrificare i cadaveri.

Senza gli attuali composti chimici, infatti, non si sa che operazioni venissero compiute per donare al defunto quella che, nell’ambiente, si chiama «durezza lapidea». Una durezza che ha mostrato ai presenti: tra lo stupore del pubblico, ha esposto cadaveri di animali, petti di pollo o altre parti anatomiche, che effettivamente apparivano duri come la pietra.

«Io stesso ho provato a ricreare questi effetti, sulle tracce del mistero di Gorini» ha spiegato Garlaschelli che, dopo anni di studi sull’argomento, si considera l’ultimo erede di questa tradizione scientifica, l’ultimo pietrificatore. La serata è stata un’occasione anche per fare un bilancio della situazione della mostra, insieme ai numerosi appassionati che hanno riempito la sala dell’Ospedale Vecchio, in via Bassi, dove è presente il museo.

«Un museo, per sopravvivere, deve imparare ad evolversi» ha detto il conservatore della collezione goriniana, Alberto Carli, che ha quindi spiegato come, nelle prossime settimane, arriveranno nuove teche, che permetteranno di esporre altro materiale e preparati anatomici.

Un museo, poi, deve imparare a comunicare, a raccontarsi, e per questo, oltre all’iniziativa organizzata venerdì sera dall’associazione Scientificast, è iniziato anche un progetto di accompagnamento multimediale insieme all’associazione di promozione sociale Acmé.

Federico Gaudenzi

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