Un cecchino, un sicario che uccide dall’alto quando il nemico è senza difese. Killer nascosto, nemico oscuro che spara o che tradisce l’amico. Rapinatore senza regole, oltre il codice di un mondo dove il complice potrebbe esser diventato tuo nemico.
Parte da Romanzo criminale e arriva a Vallanzasca la strada che porta Michele Placido in Francia: probabilmente il posto ideale per esprimere quella vocazione al “genere” mostrata dal regista italiano, lontano dalla patria dove ormai impera la commedia e dove il rapporto con la critica vive spesso di alti e bassi. Molto meglio Parigi per ambientare un poliziesco, molto meglio la terra del noir per la fusione dei due generi e per dare vita al suo Il cecchino, un classico “polar” (contrazione di poliziesco e noir) fatto a casa di chi l’ha inventato.
Riassunte in poche parole potrebbero essere queste le ragioni (semplici) della “svolta francese” del nostro regista che sin dalle prime immagini chiarisce quali sono le intenzioni della sua nuova opera: una luce fredda circonda i personaggi chiusi nella saletta di un parlatoio dopo un arresto. Nero, appunto, in una declinazione livida, come quella che circonda la scena successiva, quella di un assalto a una banca che intende indirizzare la pellicola in maniera secca e spettacolare. Un poliziotto guida la squadra che cerca di mettere in trappola una banda di rapinatori mentre dall’alto un cecchino, come in un’azione di guerra, fa fuoco con un fucile di precisione. Il poliziotto e il cecchino appunto, e l’attenzione che presto si sposta su un altro piano narrativo, quello del confronto tra cacciatore e preda destinato a ribaltarsi diverse volte lungo l’ora e mezza di film.
Eccolo dunque il Placido “francese” che sembra partire da una delle scene centrali del suo Vallanzasca, quella dell’assalto a Piazza Vetra, qui riattualizzata e realizzata con mezzi produttivi ancora maggiori per immergere lo spettatore in un “kolossal d’azione” (una produzione da oltre 14 milioni di euro quella affidatagli oltralpe). Dunque noir e poliziesco che si fondono, secondo le regole che Placido mostra di voler rispettare, e una chiave psicologica che dovrebbe scattare (e invece latita) dal confronto tra il commissario, tormentato dalla morte del figlio, e il cecchino che presto diventa molto più di un ricercato. Placido guarda a pellicole come 36 Quai des orfevres e sceglie i volti di Daniel Auteuil (il poliziotto Mattei) e di Mathieu Kassovitz (il killer Vincent Kaminski) che gli garantiscono la giusta intensità, oltre che il favore del pubblico “di casa” (con la stessa logica sceglie anche per i ruoli secondari, come quello affidato a Francis Renaud).
E funziona per lunghi tratti Il cecchino, almeno fino a quando Placido rispetta la formula che lo ha portato fin quassù. Poi il film cerca svolte e percorsi differenti, troppi, che finiscono per appesantirlo. L’attenzione dovrebbe spostarsi sulle storie secondarie che però non hanno lo spessore per tenere alta la tensione, e anche le “regole” iniziali si perdono, snaturando forma e contenuto. Placido regista, ma il discorso vale anche per l’interprete, non ha timore a mettersi in gioco. Lo ha fatto in passato, con risultati alterni, e lo fa anche con Il cecchino andando a confrontarsi con un genere proprio nella patria che lo ha codificato. Esame superato solo in parte, e forse ciò che manca, quella che ha lasciato “a casa”, è proprio una chiave personale in grado di far uscire il suo film da una gabbia in cui sembra compresso. Proprio sul confine tra le sue due anime.
PRIMA VISIONE - Un cecchino, un sicario che uccide dall’alto quando il nemico è senza difese. Killer nascosto, nemico oscuro che spara o che tradisce l’amico. Rapinatore senza regole, oltre il codice di un mondo dove il complice potrebbe esser diventato tuo nemico...
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