Quei moderni pionieri d’America incontrati lungo la strada della vita
In sala”Nomadland” di Chloé Zhao vincitore del Leone d’oro e di tre premi Oscar
«Ti faccio una mappa, per arrivare laggiù». Serve una mappa, serve darsi una mano sulla strada, aiutarsi a vicenda quando il Paese non lo fa più, e ti conta come un numero, come i pochi soldi che hai accumulato di previdenza, o come gli anni che ti mancano a un riposo che non arriverà.
Fern è una nomade moderna: «Sono senza casa, non senza tetto» dice, e attenzione, c’è tutta la differenza del mondo. Una casa Fran ce l’ha, su quattro ruote, la sua casa è il van con cui attraversa l’America, come una pioniera degli anni Duemila, l’America del Sogno andato in frantumi, quella che lascia da parte i più deboli, quella che - appunto - conta gli uomini come numeri.
Il giorno in cui è fallita l’intera cittadina di Empire nel Nevada, quando è stata chiusa la miniera attorno a cui era stato costruito il paese, Fran ha deciso di partire, lasciandosi dietro le spalle tutto o quasi. «Il van è la mia casa, io ci abito»: lo ripete ma lo capisci che non sta scappando perché la casa è quella in cui porti il servizio di piatti di porcellana lasciati da tuo padre, quella in cui ti inventi un ripostiglio e un tavolino ricavati dalla vecchia cassetta della pesca di tuo marito. “Nomadland”, mischiando racconto e documentario, è il canto epico di una comunità espulsa che continua a vivere e pulsare, che viaggia, si aiuta, trova una strada alternativa nel cuore degli Stati Uniti: Chloé Zhao che con questo film ha vinto il Leone d’oro a Venezia e ha fatto incetta di Oscar (miglior film, miglior regia, migliore attrice protagonista a Frances McDorman che lascia senza parole ogni volta che alzi gli occhi e la guardi) racconta questo popolo, con pudore, con affetto, allineando semplicemente le storie di chi incontra sulla strada, mettendosi in viaggio lei stessa. In maniera libera, senza attori professionisti se non la protagonista Frances McDormand e David Strathairn, che recitano in mezzo a persone comuni della comunità nomade. Fa un piccolo miracolo trasformando in attori straordinari Linda May e Swankie, basandosi sul libro scritto dalla giornalista Jessica Bruder e con l’accompagnamento al pianoforte di Ludovico Einaudi che stende una partitura che scorre sotto le ruote del van di Fran.
Non deve raccontare chissà cosa e non insegue nessun trucco la regista (seconda donna a vincere l’Oscar e prima asiatica in assoluto), le è sufficiente puntare la macchina da presa e lasciare che il racconto prenda vita, in questa immensa nuova Frontiera americana, in cui convivono gli smisurati centri di smistamento di Amazon e gli stessi tramonti senza tempo dei pionieri dell’età dell’oro, lo stesso gelo e la stessa fatica, ai nostri giorni. Vivere e poi morire «lasciando la barca a vela parcheggiata nel vialetto di casa», senza aver mai potuto metterla in acqua: Zhao racconta e non giudica i suoi personaggi, “Nomadland” li descrive mettendosi sullo stesso piano, raccontando le difficoltà, i dubbi, le fatiche di una scelta radicale e poi la gioia immensa, il senso profondo, il significato di questo partire, andare, per poi ritrovarsi. La storia di finzione di Fran si confonde con decine di storie vere, senza nome, e chilometro dopo chilometro si compone l’affresco di un’America sconosciuta, lontana anni luce dall’immagine del Paese che ogni giorno viene invece trasmessa. L’America di Bob Wells, di Swankie e di Linda May, che - quando si riaccendono le luci in sala - vorresti incontrare di nuovo per sapere com’è andata alla fine «lungo questa strada» che è la vita.
Nomadland
Regia Chloé Zhao
Con Frances McDormand
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