Sentirsi dei mostri. E, a questo punto, sognare semplicemente il ritorno a casa. Il destino che da sempre insegue gli Avengers diventa una condizione che si fa sempre più difficile, arrivati finalmente a “Age of Ultron”, il nuovo film di Joss Whedon che li rimette tutti quanti insieme Capitan America, Hulk, Thor, Iron Man, Occhio di Falco e Vedova nera. Una gioia per gli occhi dei fan della serie Marvel, un trionfo di scontri e di supereroi che combattono contro i cattivi e innanzitutto contro se stessi. Con un desiderio di pace universale che diventa via via un bisogno più privato, urgenza di “normalità”: basta vederli nel giardino di una casa di campagna, dalla finestra a camminare come persone qualsiasi, per accorgersi che il peso della diversità, dell’esser semidei è diventato insostenibile. Questo è il cuore di “Age of Ultron”, ciò che resta scavando tra le macerie, scansando le pallottole, una volta diradato il fumo delle esplosioni. Un film che mette allo scoperto le fragilità di ognuno di loro, con un nemico che sfrutta le loro debolezze.
D’accordo l’intelligenza artificiale che si sostituisce a quella umana, ok i progetti di pace di Capitan America e gli esperimenti di Tony Stark, il martello di Thor e la furia di Hulk, ma questa volta, ancora di più, i vendicatori devono capire «se hanno ragione a considerarci dei mostri». Mentre un nemico sempre più potente sembra aver trovato la chiave per distruggerli, penetrando nel profondo delle loro debolezze. Una creatura che si ribella, un burattino che «fili non ha più eppur non cade giù» e che mette in crisi l’idea stessa che il male si possa controllare, sconfiggere con i pugni o con le super intelligenze. Creiamo ciò che ci distrugge, facciamo la guerra mentre aspiriamo alla pace: questo il dubbio che si insinua nei pensieri di semidei che appaiono sempre più vulnerabili.
Joss Whedon riesce nell’impresa (non facile) di accontentare i fan più attenti e scatenati della serie, appassionando anche gli spettatori meno “addicted”. Introduce storie nuove e ne sviluppa di vecchie, approfondisce figure come Occhio di falco e Vedova nera mantenendo sempre l’equilibrio tra spettacolo ed emozione. Mette sul tavolo un “carico” come il vitruviano Visione e con esso fa un autentico regalo agli spettatori. Riesce a rinnovarsi e a rinnovare i personaggi nonostante i molti film che li hanno visti protagonisti, separati o tutti insieme. E poco importa se alcuni fili della sceneggiatura sembrano tenere meno di altri, quando rallenta il ritmo della storia o alcune tracce si risolvono repentinamente (inevitabile nonostante le oltre due ore di film).
Non è nuova la lotta contro la loro parte oscura, il conflitto interiore che condiziona da sempre questi semidei, è invece folgorante la visione della “normalità” della famiglia come obiettivo irraggiungibile. Quello sguardo dalla finestra è ciò che resta alla fine. Lo confessa a un certo punto il più razionale del gruppo, il Capitano quando ammette che forse quel sogno «di famiglia e di stabilità» è destinato a rimanere per sempre sepolto nel ghiaccio, dove era finito tanti anni fa, al principio di tutto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA