Raccontare la provincia:

il giovane Stefano Rotta

vincitore del premio Biagi

«Si scrive per partire e non per arrivare», assicura sorridendo. E lui di strada ne ha fatta tanta. Ventisei anni compiuti da poco, una laurea in giurisprudenza da prendere, l’orizzonte vasto di chi riesce a trovare l’equatore nella Bassa, lodigiana o parmense che sia. È il lodigiano Stefano Rotta, ex collaboratore del quotidiano «Il Cittadino», ora nella squadra della «Gazzetta di Parma», il vincitore della terza edizione del premio Enzo Biagi, istituito dalla famiglia per onorare l’opera e la memoria del professionista. Un premio destinato a un

Stefano Rotta

giovane cronista per gli articoli pubblicati su un quotidiano italiano di provincia, simile a quel «Corriere emiliano» in cui lo stesso Biagi scrisse a lungo e si fece conoscere per i suoi reportage. Un vero e proprio tributo per il giovane “artigiano delle parole” che ha sbaragliato la concorrenza con il suo viaggio sulle strade di ferro dell’Emilia, in cui i controllori, «hanno più storie da raccontare dei pescatori caraibici». Storie che Stefano riesce a staccare dalla confusione di fondo della stazioni affollate in cui si muove per fermarle sulla carta stropicciata di un taccuino prima, e sul monitor di un computer poi. La giuria, presieduta da Sergio Zavoli, però, non ha avuto dubbi.

«Mi ha chiamato Bice Biagi - spiega -: mi ha detto solo che il premio era mio e che non c’era stata concorrenza». Un complimento che non dimenticherà, come non dimenticherà l’assegno di 10mila euro che riceverà il 25 giugno a Pianaccio, borgo che ha dato i Natali a Enzo Biagi e in cui stringerà la mano del presidente Zavoli, di Giangiacomo Schiavi del Corriere della Sera, «circondato dalla montagne che sono di Terzani, di Buzzati, ma anche di Vasco Rossi e di Francesco Guccini - dice lui -, parliamo di monti che grondano letteralmente inchiostro». Un po’ come la Bassa gronda storie per chi ha voglia di andare a cercarle. Rotta ha iniziato presto, prima a «Lodi e Dintorni», poi al «Melegnanese», «dove ho preso il primo stipendio - ricorda degli esordi -: un panettone. Mi veniva da piangere, avevo capito in un minuto il rapporto tra questo lavoro e i soldi, sempre troppo pochi». Poi la lunga esperienza al «Cittadino», «una vera palestra di vita», e i primi racconti di viaggio, come il Parma-Riga-Parma, 106 ore di treno per la Lettonia e ritorno. «Ho scoperto che i soldi non si mangiano, ma il panettone sì - ha detto ancora - e che è anche buono. Mi piacerebbe quindi vivere d’inchiostro ancora per un bel po’». Anche perché l’anno scorso è uscito il suo primo romanzo, Rosso ghiaccio sulla leggenda del campione di bob Eugenio Monti, (edizioni Limina) e alla fine del mese uscirà il suo secondo lavoro, scritto a quattro mani con Francesca Lombardi. Un ritratto in prosa dell’Italia nei tempi del bunga bunga. «Il mio è un lavoro a cavallo tra giornalismo e narrazione - spiega - . Senza taccuino, senza realtà, senza gli incontri, per me non c’è nessuna storia».

Rossella Mungiello

© RIPRODUZIONE RISERVATA