Un esordio su commissione. E con risultati che molti aspiranti (e suppostamente ispirati) scrittori possono solo sognarsi a dispetto della mole di fogli - e ambizioni- accumulati nei propri cassetti. Perché Una grande opportunità (Rizzoli, Milano 2015, pp. 280, 18 euro), il primo romanzo di Vito Ribaudo, è un libro che non passerà inosservato. E non soltanto per il tema scelto – la crisi economica e del mondo del lavoro vista dalla parte di chi il lavoro talora lo toglie (nel senso che firma le lettere di licenziamento) e non di chi lo perde – ma per l’originalità della trama, la finezza dell’analisi psicologica dei personaggi e la buona qualità della scrittura. Aspetti, questi, tutt’altro che scontati da parte di chi batte sui tasti di un Pc o di un tablet non per inventarsi soggetti e vergare reportage, ma per stendere al massimo piani di rilancio o di ridimensionamento all’interno di un’azienda. Un’azienda che si chiama Rcs, uno dei maggiori gruppi editoriali del Paese (ma nient’affatto indenne alla crisi) nel quale per l’appunto Ribaudo - 44enne papà di tre figlie, milanese ma residente da sempre fra Paullo e Zelo dove ha fatto anche il cronista per il «Cittadino»-, si trova a ricoprire l’incarico di direttore del personale. Quel Capo con la C maiuscola al quale il sottotitolo del libro accenna (Può offrirti un sogno o un incubo. Perché lui è il Capo. E tu la sua risorsa, umana) e al cui profilo si attaglia, con le debite differenze, la figura del protagonista: l’ingegner Andrea Gamma. Un manager che con cinismo e ferocia dispone delle vite professionali (e non solo) di migliaia di dipendenti di una grande multinazionale, salvo poi vedersi ricambiato con la stessa moneta e doversi rimettere alla prova, con chanche di riscatto anche personali, negli ambiti più ridotti e meno “luccicanti” di una media impresa italiana.«Sono un lettore forte, ma non ho mai avuto ambizioni letterarie – confessa Ribaudo in una conversazione esclusiva concessaci alla vigilia dell’uscita del libro - ed era dai tempi delle mie lontane corrispondenze con il “Cittadino” che non scrivevo più se non relazioni, verbali e documenti legati alla mia attività professionale. Ma quando l’amico direttore editoriale di Rcs Libri Michele Rossi mi ha chiesto se non volessi provare a stendere in forma romanzata la mia esperienza, concentrandomi soprattutto sugli anni difficili che il mondo del lavoro sta attraversando e sulle storie in cui mi sono imbattuto, non mi sono potuto tirare indietro. La sfida era intrigante e partiva anche dalla constatazione che manca, a oggi, nel panorama della riflessione culturale, il topos della crisi letta dall’altra parte della barricata, visto che cinema e letteratura (penso ai film di Paolo Virzì e George Clooney soprattutto, ma anche ai libri di Silvia Avallone ed Edoardo Nesi) hanno analizzato il fenomeno soltanto o quasi soltanto dal lato dei lavoratori».
Quindi era ora di scavare nelle vite dei manager, dei vincitori “apparenti” del sistema. Quelli che fanno il tuo lavoro insomma, e che qualche volta devono anche licenziare... Ma quanto c’è di autobiografico in questa storia?
«Anzitutto spero di non essere licenziato io, a questo punto!. Battute a parte, nel libro ci sono il mio contesto professionale e alcuni ambienti che ho frequentato e frequento. E ci sono soprattutto storie in cui mi sono imbattuto nel corso della mia esperienza alla direzione del personale, prima in Mondadori e poi in Rcs. Storie che hanno lasciato un segno, che mi hanno a volte anche ferito. Non è sempre facile, specie in anni così delicati e fragili, sedere su quella poltrona (non a caso in copertina figura uno scranno in fiamme, ndr); dover fare scelte dolorose, disporre licenziamenti, nemmeno quando siano motivati per giusta causa. Certi sguardi, certe parole, finanche certi insulti ti restano dentro, indelebili».
In qualche modo hai cercato di umanizzare la figura del “tagliatore di teste”, sdoppiandola in due “sé” distinti e in due tempi distinti, quasi a voler regalare al protagonista, un “secondo tempo” per la sua vita, un’opportunità di un riscatto.
«Sì, è così. Il primo volto è quello dell’ingegner Gamma, il manager feroce, cinico, fedifrago, che usa gli altri, non guarda in faccia nessuno e come un vampiro ha bisogno di assicurarsi la sua dose giornaliera di “sangue”, licenziando dirigenti, operai e impiegati, per essere davvero soddisfatto. L’altro è quello di Andrea, sempre lui ma ormai diventato un ex manager rampante, stritolato nel suo stesso meccanismo diabolico, e che dopo una pausa forzata di due anni, prova a risalire la china ripartendo da un ruolo ridimensionato e con un incarico a termine di sei mesi: 180 giorni che cadenzano, intervallati con i flashback, i capitoli del libro. Un espediente narrativo che mi è uscito naturalmente e che è piaciuto all’editore».
È fuor di dubbio che quella di Andrea sia la faccia “bella“ della medaglia, quella più umana. In cui evidentemente ti ritrovi...
«Come ho esplicitato già nel lungo sottotitolo del romanzo volevo tratteggiare una realtà in cui i lavoratori fossero intesi come risorse, risorse umane, per l’appunto, non semplici pedine. Ho provato perciò a smontare lo stereotipo del direttore del personale brutto, sporco e cattivo che un periodo duro come questo ha purtroppo fatto passare nell’immaginario collettivo».Svolgendo un ruolo impegnativo come il tuo, dove hai trovato il tempo di scrivere un romanzo di quasi 300 pagine?«Sottraendo ore alla lettura e al sonno. E un po’ alla mia famiglia, che ringrazio per la pazienza. Ho scritto di notte, in maniera metodica, per oltre un anno. Consegnando due capitoli per volta agli editor e procedendo poi alle correzioni. È stato faticoso, ma appagante; ci ho messo dentro un po’ i miei riferimenti, musicali e culturali, i miei anni, le mie fantasie, i miei sogni, le mie paure».
E i tuoi, i nostri, luoghi...
«Certamente, ho ambientato anche uno degli ultimi paragrafi, Espiazione, fra la campagna lodigiana e Milano».
Zone in cui i cieli - scrive con un guizzo poetico Ribaudo in una delle molte, pregevoli descrizioni del libro (forse la parte migliore sotto l’aspetto stilistico) - «hanno nuvole ferme, pigre come problemi senza soluzioni. Sono nuvole senza vento, vorrebbero sentire il tintinnare degli anelli di acciaio sulle vele nelle rade dei porti ma si accontentano di guardare dall’alto la quadricromia dei campi coltivati oltre il ring delle tangenziali ».
(Vito Ribaudo, La grande opportunità, Rizzoli, Milano 2015, pp. 280, 18 euro)
Esce per Rizzoli il primo romanzo del manager di Zelo, per anni corrispondente del “Cittadino“ prima di intraprendere una fulminante carriera, che l’ha portato ai vertici di Mondadori e Rcs, nel settore delle risorse umane.
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