SIAMO SERIAL Il Principe

Una docuserie ben costruita, sia dal punto di vista tecnico sia per i contenuti, dal momento che tutti i testimoni sono chiamati davanti alla telecamera

“Qualcuno vuole uno champagnino?”. Una frase buttata lì, a telecamere spente ma a microfoni accesi. A pronunciarla è Vittorio Emanuele di Savoia, figlio dell’ultimo re d’Italia, protagonista della serie tv “Il Principe” che vede alla regia Beatrice Borromeo.

Una docuserie indubbiamente ben costruita, sia dal punto di vista tecnico sia per i contenuti, dal momento che tutti i testimoni sono chiamati davanti alla telecamera. L’obiettivo è quello di far luce su una vicenda complessa e su un personaggio controverso, dando però voce a ogni protagonista: durante il suo esilio, infatti, Vittorio Emanuele fu accusato di aver ucciso Dirk Hamer, un 19enne che si trovava in barca in Corsica, all’Isola Cavallo, insieme a degli amici e alla sorella Birgit. Il giovane fu ucciso da un colpo di arma da fuoco nell’estate del 1978 e morì dopo un lungo calvario di interventi chirurgici. E anche se il principe fu assolto, Birgit continuò a portare avanti la sua battaglia per chiedere giustizia, visto che Vittorio Emanuele si vantò in cella di averla fatta franca (pur avendo ammesso di aver sparato il colpo).

Vittorio Emanuele di Savoia è così balzato alle cronache con l’appellativo “il principe sparatore”, è stato accusato di aver utilizzato la sua posizione e il suo potere per non essere condannato; i testimoni denunciano tutta una serie di episodi “strani” – dal furto di una pistola al trasferimento di un giudice – che nel processo avvenuto alla Corte d’assiste di Parigi si concludono con un’assoluzione. Un’assoluzione che non frena Birgit Hamer, decisa a fare in modo che il fratello ottenga giustizia.

Il punto di forza delle docuserie targate Netflix consiste nella capacità di raccontare la complessità di alcuni personaggi, rendendola comprensibile anche ai giovani, grazie al linguaggio televisivo. È proprio ciò che accade nel caso de “Il Principe”, ma è anche ciò che è avvenuto per esempio con Wanna Marchi in “Wanna” oppure con Vincenzo Muccioli in “Sanpa”.

Un plauso va alla regista Beatrice Borromeo della scuola di Michele Santoro, che l’ha infatti voluta al suo fianco ai tempi del programma tv “Anno Zero” e compare in una delle puntate insieme al collega Gianni Barbacetto. Il montaggio ha un buon ritmo e alterna l’intervista al principe con le immagini d’epoca e con i colloqui con i testimoni. Si tratta di un prodotto curato in tutti i suoi dettagli e, alla fine, si rivela una riflessione sui privilegi, sulle bugie, sulla macchina della giustizia che non sempre funziona.

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